Seguo il flusso umano che scorre senza sosta sul marciapiedi della prospettiva Nevsky fino a quando si diffonde nello spazio immenso che circonda l'Ermitage, poi svolto a sinistra, diretto alla Cattedrale di Sant'Isacco. Quando sono a poche decine di metri da questa versione russa di San Pietro, con la coda dell'occhio noto un foglietto appiccicato a una porta, seminascosta dall'impalcatura dei lavori di restauro del palazzo. Museo di storia della polizia politica. Praticamente un asteroide fortemente magnetizzato davanti al quale mi tramuto in una spilletta per capelli.
Anche la chiesa però tira parecchio. Resto qualche secondo sul posto, la coscia che traballa seguendo degli impulsi alternati che mi spingono di qua e di là. Elaboro le poche informazioni che ho messo assieme e prendo una brillante non-decisione, rimandando: un classico in questi casi. Il museo chiude alle 18.00 ma dalle 17.30 non si vendono più biglietti. Ho ancora trenta minuti e la cattedrale è a due passi. Vado prima lì e vedo che mi dice: se mi sussurra parole dolci nell'orecchio solleticandomi lievemente il lobo mi ci fermo, altrimenti torno indietro. E così è, solo che per rendermene conto ho impiegato venti minuti abbondanti. Quando apro la porta d'ingresso al palazzo del museo sono già le 17.26. Dopo aver provato due corridoi ciechi imbrocco quello giusto, abbasso la maniglia ma la porta non si sposta. Faccio per andarmene quando sento qualcosa che sferraglia e una signora esce dalla stanza.
"Che c'è?"
"Vorrei visitare il museo."
"Mi spiace, è tardi."
Mormoro qualcosa adottando un'espressione commovente. Lei borbotta qualcos'altro con fare indeciso. E' il segnale che aspettavo, mi avvicino.
"17.30, orario di chiusura." Dice lei, mentre un'altra signora sbuca dall'entrata incrociando gli avambracci come qualche tipo di arbitro per farmi capire che il museo è chiuso. Mostro l'orologio che segna le 17.28. Lancetta in d4: scacco matto!
"Va bene, seguimi!"
L'esposizione è commentata per il 95% in russo ma la signora mi consegna una dispensa di fogli plastificati con le mappe di ogni parete e le relative didascalie in inglese. Una buona idea che però la dice lunga sullo scarso numero di turisti stranieri che visitano il museo.
Sono sempre stato affascinato da tutto ciò che ha a che fare con i lati più opachi, sinistri e controversi della storia. Passo in rivista le foto in bianco e nero, fermandomi in adorazione davanti a quelle che mi emozionano di più, leggendo le spiegazioni sulle preziose dispense che sfoglio in avanti e indietro. I tempi delle spie zariste, poi i bolscevichi e la ristrutturazione di Dzerzhinsky. La sua morte, le immagini di Trozky, Stalin, Bukharin e Molotov che trasportano la bara. La CHEKA, il KGB, la guerra fredda, la crisi dei missili di Cuba e gli scambi segreti di prigionieri con gli USA. Le missioni in Afghanistan e Cecenia, il terrorismo interno, l'FSB e finalmente i giorni nostri.
Nella stupenda sala che fu di Dzerzhinsky mi imbatto in un gruppo con guida. Ma vedi che scelta azzeccata, decidendo di visitare il museo mi sono preso cura di due hobby in un colpo solo: la storia dello spionaggio e le belle donne (l'hobby in questo caso consiste soltanto nell'ammirarle, ovviamente). Ora tra una foto e l'altra non riesco a non lanciare un'occhiata a tre o quattro esemplari di queste stangone che da quando sono arrivato in Russia mi tormentano i pensieri. La loro guida però è una vecchia pedante e logorroica: me le lascio dietro e dopo pochi minuti sono nell'ultima sala, dove la signora della biglietteria, che già era venuta ad aiutarmi prima, mi fornisce altri utili approfondimenti. Indossa un paio di pantofole, le calze pesanti, una gonna-plaid, un maglione infeltrito e occhiali da medico di famiglia. Niente trucco e i capelli sono raccolti, ovviamente. Mi fa pensare a una bibliotecaria da film di serie B, ma anche un po' a Nonna Papera. E' gentilissima. Sminuisce il bel gesto spiegandomi che devo l'opportunità di visitare l'esposizione fino a ben oltre l'orario di chiusura al gruppo di sventole che ho appena visto: avrebbe dovuto comunque aspettare che loro se ne andassero. Chiedo se c'è un guest book e mentre sto scrivendo i miei commenti, scegliendo con cura le parole, mi chiede di non menzionare il fatto che mi ha aiutato personalmente.
"Non sono un'esperta."
"Ma se è stata bravissima!" Rispondo pensando che si tratti soltanto di falsa modestia.
"Conosco qualche dato ma non ho una buona visione di insieme. E poi potrebbe crearmi dei problemi coi miei superiori."
Sembra quasi che si sia fatta risucchiare dall'atmosfera di segreto e mistero che avvolge il posto, come se anche lei tramasse tra le maglie di un'organizzazione che agisce nell'ombra.
"Ah no, allora niente..."
Concludo scrivendo comunque che il personale è molto gentile ed educato. Dovrebbe essere un complimento piuttosto discreto e neutro.
Do un'ultima occhiata alle sventole stivalate che una dopo l'altra affluiscono nella sala e poi esco, mentre le braccia potenti del clima del Baltico mi tirano delle gelide nerbate sul viso. E pensare che è soltanto ottobre. Un ottobre poco rosso, ma piuttosto grigio.
Foto "Colonna di Alessandro, sedia e zaino" di Fabio
Foto "Colonna di Alessandro, sedia e zaino" di Fabio
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