Pranzo al ristorante con la cassiera antipatica.
Ieri non mi ha fatto mangiare perché non voleva cambiarmi una banconota da 50 kuai. Io non avevo altro. Un ristorante frequentato da centinaia di clienti al giorno, che non ha il resto per 50 kuai. Megera dormigliona.
L’ho pure vista addormentata sulla cassa, mentre alcuni clienti in fila protestavano la loro fame. Ha aperto gli occhi, li ha osservati, e si è rimessa a dormire. Poi, quando un camionista ha minacciato di frantumare la cabina di plexiglas, si è rimessa a lavorare.
Mangio 'er si', degli spaghettoni saltati in una salsa densa. Un po’ piccanti ma molto appetitosi.
Sono soltanto un po’ piccanti perché io chiedo di non metterci il peperoncino, altrimenti sarebbero immangiabili.
Arrivato in Asia da poco, mangiavo cibo più piccante senza alcun problema. Ma da due o tre anni la mia tolleranza al peperoncino si è abbassata di molto.
Vedo un mendicante entrare nel ristorante.
Si dirige in fretta verso un tavolo da cui un cliente si è appena alzato.
I camerieri non hanno ancora sparecchiato.
Lui afferra le bacchette e finisce i tagliolini rimasti all’interno del piatto, poi si beve anche un sorso di brodino.
Se lo versa in bocca direttamente dalla scodella.
Lo guardo mentre regge la scodella con le mani. Mi ricorda di quando all’asilo le suore ci facevano finire la minestra allo stesso modo.
Si pulisce la bocca con la manica della giacca, si guarda attorno ed esce.
Poi rientra, si avvia verso un altro tavolo e ripulisce un altro piatto. Un esperto suo malgrado nell’arte della scarpetta.
Quindi sposta una sedia, si infila sotto il tavolo e si rialza sorridente con una sigaretta in mano.
Ride, e la sua barbetta a punta oscilla come il becco di un picchio. Mi sembra di riconoscere il suo volto.
Poi esce di nuovo, forse sazio, e si siede per fumarsi il trofeo su una sedia sistemata all’entrata del ristorante.
Passa sul marciapiedi una ragazza americana che ho già visto.
Lui le sorride e la saluta con la mano.
Mezzo minuto più tardi passeggia di lì un altro ragazzo occidentale, e il barbetta lo saluta allo stesso modo.
Ora mi ricordo di lui. E’ un barbone ritardato, che saluta tutti gli stranieri picchiettando la barba appuntita ed esibendo uno stupendo sorriso senza nemmeno un dente, con le labbra ad “O” e due delta di rughette che gli increspano la pelle color caffè vicino agli occhi. Irresistibile.
Si agita sulla sedia e sventola la mano. Ma il ragazzo straniero che gli cammina davanti fa finta di non notarlo, e passa oltre.
Poi con la coda dell’occhio nota il tintinnio della barbetta e il viso accartocciato in quel sorriso fantastico.
Lo straniero non ce la fa più ad ignorarlo, si gira e continuando a camminare all’indietro toglie le mani dalle tasche della giacca, lo saluta e gli sorride.
Prima di voltarsi gli rivolge un’ultima occhiata.
Ma il barbone ritardato si è già dimenticato di lui, e ricomincia a fissare la strada davanti a sè, con quel suo sguardo un po’ assente.
La condizione dei barboni, soprattutto qui in Cina, dovrebbe metterci tristezza.
Interrompere almeno per un attimo la nostra spensieratezza, farci dimenticare per un attimo le piccolezze che ci fanno arrabbiare, le inezie per cui ci preoccupiamo e la banalità di alcuni dei nostri progetti. Farci riflettere su come la nostra vita, in fondo, non sia poi malaccio.
Al contrario, sono proprio loro che a volte ci sorprendono in un momento di sconforto, e ci regalano una risata scacciacrisi.
Ce n’è uno, per esempio, che ha scelto le scale all’entrata di un negozio per prepararsi ogni notte un giaciglio di stracci e cartone.
Proprio lì a fianco c’è un caffè francese molto frequentato da stranieri e cinesi benestanti.
Una sera passavo di là verso mezzanotte, l’orario di chiusura del caffè. Attraversavo uno dei miei rari momenti di tristezza, dovuto a chissà cosa.
Quattro ragazzi un po’ ubriachi si erano fermati sul marciapiedi e discutevano a voce alta.
Ad un certo punto si sente il rumore di qualcosa che striscia, uno dei cartoni viene scostato e dal buio di quell’angolo puzzolente sbuca un braccio teso.
Poi, tra una sciarpa ed un berretto, spunta anche mezzo volto del barbone, che comincia a urlare qualcosa ai ragazzi, ammoniti anche da quel dito puntato contro di loro.
I ragazzi sono ammutoliti, io rido senza farmi sentire.
Non so cos’abbia gridato, ma mi piace pensare che siano le stesse parole che avrebbe potuto dire l’inquilino del primo piano: “E allora! La vogliamo piantare con questo baccano? C’è gente che domattina presto deve svegliarsi e che ora vuole dormire! E’ un quartiere serio questo, mica un ritrovo per ubriaconi come voi!”.
I ragazzi, forse un po’ umiliati, si ritirano nella loro berlina giapponese, e se ne vanno.
Il barbone scompare di nuovo nel buio del suo angolo, risistema il cartone e si rimette a dormire.
Ha veramente cose serie da fare lui di mattina. Fra qualche ora gli spazzini, gli ambulanti e le commesse del negozio lo sveglieranno, e lui sarà costretto a fare i bagagli, magari quando è ancora buio.
Quell’uomo, a sua insaputa, mi restituì il buonumore. Quella sera uscii con degli amici e per altri motivi mi divertii. Ma lo devo a lui se la serata cominciò all’insegna dell’allegria.
Nessun commento:
Posta un commento