Mi sto dedicando ad uno dei miei passatempi preferiti.
Sono seduto ad un tavolo di un localino francese. Una tazza di caffè dello Yunnan e qualcosa da mangiucchiare davanti a me. Le mani su di un libro, il diario o il computer. In questi ultimi tempi il tardo pomeriggio scorre spesso a questo modo verso la fresca sera di Kunming. Non durerà per sempre, ma finché dura non mi posso lamentare.
Attorno ad uno dei tavoli vicino al mio c’è un gruppo di giovani cinesi. Alcuni fumano, altri si abbracciano, una coppia si apparta in un angolo un po’ lontano per sussurrare qualcosa che gli amici non devono sentire.
Tre ragazze si voltano spesso per rivolgermi un’occhiata incuriosita. Sono stato in Cina abbastanza a lungo da imparare a non sentirmi troppo lusingato per questo genere di attenzioni.
E’ passata un’ora da quando sto qui, e i ragazzi sono sempre allo stesso tavolo.
Le tre ragazze che mi osservano si riuniscono e parlottano per un po’. Seguo la scena con la coda dell’occhio. Ad un certo punto una di loro si fa coraggio e si avvicina al mio tavolo. Mi chiede di dove sono. Mi spiega che la sua insegnante di inglese le consiglia spesso di fare pratica con degli stranieri, e che vorrebbe chiacchierare un po’ con me. In meno di un minuto le sue amiche l’hanno raggiunta e mi rivolgono dei sorrisi un po’ imbarazzati. Io le invito a sedersi.
Hanno tutte meno di vent’anni, frequentano le scuole superiori e non sono mai state all’estero. Una di loro continua a strofinarsi le mani e mi confida di essere molto nervosa. E’ solo la seconda volta che parla con un occidentale. Per le sue due amiche è invece la prima in assoluto.
Questo genere di incontri, che mi capitano spesso, in Cina ma anche in altri paesi dell’area, non finiscono mai di stupirmi e farmi riflettere. L’inglese di queste ragazze, considerata la loro età e le altre condizioni al contorno, è di livello sorprendentemente elevato. Fanno qualche errore di grammatica, ma utilizzano delle forme e delle strutture piuttosto complesse. Il loro vocabolario è molto ampio e la loro pronuncia è spesso accurata e piacevole da ascoltare.
Non frequentano una scuola internazionale o privata e non vanno a lezioni di ripetizione.
Non si può certo affermare che in questo paese il livello della conoscenza dell’inglese, considerando la totalità dell’enorme popolazione, sia ottimo. Anzi tutt’altro. La maggioranza della popolazione delle aree rurali e in generale quella al di sopra dei trent’anni l’inglese non lo parla affatto.
Ma tra le generazioni giovani e giovanissime, in particolar modo quelle delle città medie e grandi, il livello è soddisfacente e in continua crescita.
Ogni scuola (statale) assume degli insegnanti madrelingua che affiancano quelli cinesi durante le lezioni dedicate alla conversazione. E ovviamente le famiglie più abbienti mandano i loro figli a seguire lezioni private presso scuole di lingua.
Ogni settimana la TV (pubblica) trasmette qualche film straniero in lingua originale con i sottotitoli in cinese.
E le bacheche dei caffè e delle università abbondano di inserzioni per la ricerca di partner per scambio linguistico.
Nonostante le reali difficoltà che il visitatore straniero incontra quando cerca di comunicare con la popolazione locale, è evidente la grande importanza che le istituzioni e la società cinesi danno all’apprendimento dell’inglese.
E i giovani cinesi delle classi medie sono consapevoli delle opportunità che si affacciano all’orizzonte di chi parla l’inglese in maniera soddisfacente.
In Italia chi parla bene l’inglese lo ha imparato quasi sempre all’estero, a proprie spese e seguendo una strategia elaborata autonomamente. Pochi aiuti vengono dati agli studenti che vogliono imparare seriamente una lingua straniera.
Lo strumento più importante degli ultimi 15-20 anni è stato sicuramente l’Erasmus, o qualche altro programma simile. Alcuni studenti universitari, selezionati tra quelli che fanno apposita domanda, possono frequentare un semestre o un anno accademico presso un’università straniera. Una parte delle spese viene rimborsata e gli esami sostenuti all’estero vengono generalmente riconosciuti una volta ritornati in sede. Va sottolineato che questo programma è frutto di accordi stipulati in sede comunitaria e non di un’iniziativa del governo italiano.
Non tutti durante l’Erasmus imparano la lingua inglese, di certo non chi va a studiare in Francia o in Spagna. Ma soprattutto non tutti possono avere accesso al programma.
Gli altri devono accontentarsi di lezioni di letteratura inglese alle scuole superiori, tenute spesso in lingua italiana. O di un poco utile corso in un’aula universitaria affollata, in cui si impara a malapena qualche termine e un po’ di grammatica. Senza la minima possibilità di apprendere ciò che più conta. Gli strumenti più importanti della comunicazione: la comprensione e la scorrevolezza nella lingua parlata.
Chi vuole andare oltre questa inutile perdita di tempo impara l’inglese vivendo in qualche angusto appartamentino londinese. Guadagnandosi il soldi per pagare il costosissimo affitto friggendo patatine al Mc Donald’s o lavando i piatti in un ristorante italiano.
Ci sarebbero altre possibilità. Il governo australiano ad esempio offre l’opportunità ai cittadini di alcuni paesi di ottenere visti vacanza-lavoro di un anno. Essendo questo programma frutto di accordi bilaterali tra l’Australia e ognuno degli altri paesi coinvolti, il numero dei visti rilasciati ogni anno è variabile e dipende tra le altre cose dalle opportunità offerte in cambio ai cittadini australiani. Il governo italiano per anni non ha dato grande importanza a questa relazione e il governo australiano ha riservato spesso un numero limitato di posti ai cittadini del nostro paese, sospendendo pure il programma di collaborazione con l’Italia per lunghi periodi.
Di certo non tutte le soluzioni adottate da altri stati per agevolare l’apprendimento dell’inglese possono essere applicate in Italia. Difficilmente il Ministero dell’istruzione potrà promuovere l’assunzione di insegnanti madrelingua da collocare nelle nostre scuole pubbliche. E si può soltanto immaginare l’insurrezione popolare che si avrebbe in caso i film stranieri venissero trasmessi in lingua originale con i sottotitoli in inglese.
Ma sicuramente un gruppo che si sedesse attorno ad un tavolo con l’intenzione seria di migliorare la situazione potrebbe proporre qualche soluzione a basso costo e senza impatti sociali particolarmente negativi.
Qualche suggerimento. Un programma rivolto a volontari madrelingua - che vogliono imparare l’italiano e vivere un’esperienza in Italia - che potrebbero lavorare per qualche ora alla settimana nelle scuole pubbliche italiane.
Uno o due film alla settimana in lingua originale, con i sottotitoli in italiano, se non in inglese. Magari non in prima serata, ma in seconda o terza. O anche di pomeriggio.
E poi dei programmi per l’agevolazione degli scambi linguistici.
Insomma gli strumenti non mancano. Quel che manca è l’impegno serio delle istituzioni e delle varie componenti sociali.
E c’è forse qualcosa di ancor più grave. La mancata consapevolezza che senza saper parlare l’inglese i nostri giovani si troveranno sempre più in una posizione di svantaggio competitivo. E il timore infondato che la diffusione della conoscenza dell’inglese possa avere qualche effetto negativo sul patrimonio culturale italiano. Come se tale patrimonio non fosse invece già messo a repentaglio da altre, più pericolose, minacce endemiche.
Le mie tre amiche si sono scrollate di dosso imbarazzo ed emozione.
Mi chiedono di dare ad ognuna di loro un nome italiano. Facendo riferimento al loro nome cinese o a quello inglese (che spesso utilizzano quando hanno a che fare con gli stranieri), le chiamo Caterina, Monica e Giovanna.
Durante la conversazione rivelo loro qualcosa che le sbalordisce. Confesso che quando avevo la loro età il mio inglese era molto peggio del loro. Così come quello della quasi totalità dei teenagers italiani.
Non ci credono. Esclamano sbalordite: “Ma come, non è possibile, in Italia?”.
Già, in Italia. Da culla della mafia a modello da imitare. Da archetipo del malgoverno a esempio di stile. Penso alle idee completamente diverse che la gente nel mondo si fa del nostro paese, e mi scappa un sorriso.
La moda, le auto sportive, la cucina di casa nostra e i successi del calcio tengono alta la bandiera. Perlomeno la buona reputazione che godiamo da queste parti (pur non essendo sempre giustificata), ha saputo finora resistere all'effetto dei mali tipici italiani. Ma per quanto potrà ancora durare?
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