Il posto che preferisco per trascorrere i pomeriggi a Guangzhou, in compagnia di un libro o del computer, è senza dubbio Shamian. Un isolotto a ridosso della sponda settentrionale del fiume delle perle. E’ come l’estensione di un’ampia ansa. Mi ricorda un po’ Gulang yu a Xiamen. Entrambe sono delle isole. Entrambe hanno un’atmosfera rilassata e coloniale. Soltanto biciclette e pedoni percorrono le deliziose stradine alberate. Ai lati bei ristoranti e caffè. E numerosi edifici antichi che hanno ospitato in passato consolati stranieri o sedi di banche e grandi corporation occidentali.
A Shamian oltre ai turisti che passeggiano e ai residenti che fanno jogging si incontrano in questo periodo numerose coppie di stranieri che spingono passeggini sui quali stanno seduti tranquilli, e spesso un po’ confusi, bambini e bambine cinesi.
Ho pensato subito a dei casi di adozione.
Il mio sospetto viene confermato quando una delle ragazze che lavorano nei negozi di souvenir mi ferma una sera per fare quattro chiacchiere. Non cerca nemmeno di vendermi qualcosa. In un ottimo inglese mi spiega che il negozio chiuderà a breve, e che non ha più voglia di lavorare. Aspetta soltanto l’orario di chiusura e si annoia un po’. Le chiedo come mai ci sono in giro tanti stranieri con bambini cinesi. Mi risponde che le pratiche di adozione dei bambini, provenienti da svariate province del paese, vengono tutte sbrigate qui a Guangzhou.
L’ufficio competente si occupa di un gruppo di famiglie per volta. Le invita tutte assieme e le fa alloggiare nello stesso hotel il tempo necessario per incontrare i bimbi e per portare a termine l’iter burocratico.
Le coppie che attualmente scorrazzano per le stradine di Shamian con i bambini da adottare alloggiano appunto tutte in un hotel dell’isola. I bimbi sembrano sempre tranquilli, non parlano l’inglese e i genitori adottivi hanno imparato qualche semplice frase in cinese per comunicare con loro.
Li ho osservati spesso mentre, in un mandarino un po’ stentato, li invitano a scendere dal passeggino e camminare, o domandano loro se hanno fame.
Dico alla ragazza che sto andando al Seven/Eleven a comprarmi qualcosa da bere. Lei mi saluta. Poi, quando ho già percorso una decina di metri, mi chiama. Mi giro, e lei sorridendo mi chiede di comprarle un gelato.
“Un gelato?”.
“Sì, alla vaniglia!”.
Forse non voleva soltanto chiacchierare. Ma un cornetto alla vaniglia non è un prezzo elevato per la curiosità che mi ha tolto.
Cornetto “Walls”: la multinazionale che si è comprata l’azienda italiana ha aggiunto il suo marchio ma saggiamente ha deciso di non cambiare il nome al famoso gelato.
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