venerdì 9 novembre 2007

H., la donna araba. Kuala Lumpur - Malesia, 08 novembre 2007

E’ giorno di festa in Malesia. Il Deepavali è una delle occorrenze più importanti nel calendario della comunità hindu. In Malesia, tralasciando quella ebraica, un po’ tutte le religioni sono rappresentate e rispettate. Scuole, aziende e uffici statali si fermano così per celebrare il Ramadan, il Deepavali e ovviamente anche il Natale.
Tutti i miei studenti sono stranieri, a nessuno interessa fare festa oggi e perdere poi un sabato per recuperare la lezione. Siamo regolarmente in classe, oltre a noi però non c’è nessuno. Nemmeno chi di solito ci porta il pranzo, incluso nel prezzo di iscrizione al corso.
Alle dodici e mezzo interrompo la lezione e porto tutti alle Torri Petronas. Scegliamo un bel caffè coi tavoli all’aperto, investiti da soffici sbuffi d’acqua. Un bel posto da cui ci si può godere una vista privilegiata della nuova skyline del Kuala Lumpur convention centre, oltre ai giochi d’acqua delle fontane del complesso. Dietro agli zampilli si scorgono le cupole della moschea, costruita anch’essa con i materiali hi-tech e quelle linee un po’ moderne e un po’ islamiche delle torri.
I camerieri accostano tre tavoli per farci accomodare e noi ci sediamo. Non tutti però, manca Huda. Sarà andata al bagno.
Dietro a noi c’è un tavolino. Ci sta seduta una persona da sola, con il vestaglione nero delle donne arabe e un velo sulla testa da cui spunta un viso paffuto e simpatico, anch’esso scurissimo. Inconfondibile: è Huda. Viene dall’Oman, ma probabilmente ha origini africane.
Mentre noi ci scambiavamo cortesie per scegliere il posto, lei quatta quatta, attenta a non farsi notare, è scivolata verso un tavolino dalla vista occultata, proprio quello che faceva al caso suo. Di fronte a lei, all’altro capo del tavolo, silenziosa e compunta, si alza una massiccia colonna dal profilo di metallo opaco.
Io faccio finta di niente e maschero un leggero imbarazzo dietro al menu. Faccio finta di niente; e non faccio niente, perché conviene non fare niente. Tutto attorno a me si agitano mani. Quelle minuscole e ansiose di Carmen, che si affanna per invitare Huda ad unirsi a noi. Il palmo di Huda che si allunga in avanti, come per creare una distanza o semplicemente per dire di girarci e di scordarci che esiste. Le mani forti di Alexander, lo studente di Zagabria, che stringono i braccioli della sedia mentre la sua testa si volta nervosa verso la compagna auto-emarginata, per poi tornare a fissare il coperto, strizzando le labbra e gonfiando le gote. Facciamo qualcosa? E’ la domanda che sembra ronzargli in testa. Ma cosa?
Le dita degli uomini arabi scorrono lungo le liste dei piatti di pasta, di insalate e dell’ampia offerta di sandwich e gourmet pie. Sereni, imperturbabili. Huda si è seduta da sola? Embè? Direbbero alcuni di loro. Huda...Huda chi? Chiederebbero gli altri.
Non c’è molto di cui stupirsi. Io mi ero anzi sorpreso quando l’avevo vista seguirci verso l’ascensore. Ma come, tutto ad un tratto decide di mangiare con noi?
Ogni giorno infatti, mentre pranzo assieme ad Alexander il croato e Jerry l’indiano, con gli uomini arabi seduti tra loro, Huda, quando non mangia assieme a Carmen, se ne sta da sola. Fin dal primo giorno del corso ha individuato il suo posto presso l’unico tavolino appoggiato alla parete. Forse sistemato a quel modo su sua specifica richiesta. Non vedo infatti altri motivi perché debba esserci un tavolo in quella posizione. Non mi era mai capitato di notarlo, quando ero venuto qui ad insegnare in passato.
E quindi, quando non è impegnata ad osservare il piatto o il cibo che si porta alla bocca e alza la testa, Huda non può far altro che fissare il muro.
Credo che tutto ciò sia dovuto a una regola che proibisce alle donne arabe di pranzare assieme agli uomini. La maggior parte dei musulmani in estremo oriente questa regola non la osserva. Gli arabi apparentemente sì.
Basta vedere la disinvoltura con cui i miei studenti sauditi affrontano senza imbarazzo la scena che ci si presenta davanti. Come alla fine si alzano per recarsi alla moschea senza degnare Huda di uno sguardo.
Quando gli uomini sono già lontani lei si alza, e mi sembra di vederla chinare leggermente il capo come per accomiatarsi dall’altro commensale, che sarebbe la colonna. Ci saluta e si avvia lentamente per unirsi ai suoi fratelli in preghiera.
Huda silenziosa. Huda solitaria, seduta davanti al muro. Huda del Sultanato dell’Oman, la donna araba.



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