Rallento, mi volto, osservo con attenzione ma non riesco a scorgerlo. Poco fa un ragazzo mi ha chiesto dove si può comprare una carta telefonica internazionale; non era riuscito a trovarla nemmeno al Seven/eleven. Era mezzanotte passata e sul momento non mi è venuto in mente niente, poi mi sono ricordato di un altro negozietto.
Scruto attentamente il marciapiedi ma non c'è nulla da fare, il ragazzo sembra essere sparito. Muovo alcuni passi lentamente, continuando a guardare all’indietro, nella direzione in cui l’avevo visto incamminarsi. Mi fermo e do l’ultima occhiata prima di arrendermi: è proprio scomparso.
Mi rimetto a camminare e quasi subito mi trovo davanti il sorriso malizioso di un giovane orientale, vestito tutto di nero, come un modello di Calvin Klein, con una banana d'altri tempi ingellata sulla testa. Continua a sorridermi per alcuni secondi, poi si incammina al mio fianco e mi rivolge la parola, come se tutto facesse parte di una tecnica studiata.
“Scusa, sai per caso dov’è il Blue Bird?”
L’uso dell'accento è curato attentamente, così come quello del tono della voce.
Non ho mai sentito parlare di un posto con quel nome ma ogni dettaglio di questa scena mi fa pensare che si tratti di un locale gay.
D'altra parte non credo sia una coincidenza il fatto che ci troviamo proprio davanti al Dome di Bukit Bintang, un caffè nel cui cortile siedono spesso coppie gay di turisti stranieri e ragazzi del posto.
Pur non essendo la prima volta che mi accade, questo genere di abbordaggi mi mette ancora in imbarazzo. Cerco comunque di apparire tranquillo e cortese.
“Come?”
Essendo la mia risposta uscita quasi con un urlo, l'inizio non è stato dei migliori.
“Il Blue Bird, sai dov’è?”
“No, mi spiace. Non credo di averlo mai sentito nominare”
La prima fase dell'operazione è terminata. Ma né la mia leggera scortesia né il fatto che non mi fermo e non lo incoraggio a continuare lo convincono a lasciar perdere.
“Da dove arrivi?” e con un cenno della testa sembra indicare un punto lontano, nella direzione da cui provengo.
“Vuoi sapere dove sono stato finora o di dove sono?”
“Di dove sei”
“Italia”
“E dove abiti?”
“Hmm, qui vicino”
Questo giovane non ha certo voglia di perdere tempo, il ritmo delle sue domande è incalzante. Non ci ha messo molto ad arrivare allo sgancio della bomba.
“Non è che ti va di venire a dormire nel mio hotel?”
Questo per lui dev’essere il momento più emozionante dell’azione, per me è invece l’occasione propizia per svignarmela.
“Ah, no, grazie”
“Ciao”
“Ciao”
Non è vero che gli asiatici sono sempre più timidi e riservati di noi occidentali, così come non è vero che il cosiddetto latin lover è l’abbordatore più aggressivo che ci sia in circolazione.
Alle volte questi omosessuali asiatici con la loro audacia possono lasciarti davvero a bocca aperta.
La prima volta fu a Chiang Mai, nella Thailandia settentrionale, cinque o sei anni fa.
Stavo seduto ad un tavolino davanti al mio albergo. Era notte fonda, non riuscivo a dormire ed ero sceso a leggere un libro all’aria aperta. Sedevo a pochi metri dalla strada, su cui non passava quasi nessuno.
Un Honda Dream mi sfreccia davanti e poi si ferma. Noto distrattamente il rumore del motore che va giù di giri e poi riprende lentamente. Alzo gli occhi dal libro e vedo un giovane che sistema il cavalletto, scende e mi viene incontro.
“Ciao, di dove sei?”
Percepisco la sua fretta di arrivare al dunque, segnale del suo imbarazzo ma elemento per me provvidenziale.
“Italia”
“Ah, e alloggi qui?”
“Certo”
Per un po’ resta in silenzio. È titubante, ma ho già capito dove andrà a parare.
“Non è che potrei...”
E mi sputa addosso un invito per direttissima ad un rapporto oro-genitale. Senza per altro lesinare la terminologia volgare che più si adatta al caso.
“Decisamente no, non puoi”
La calma e l’ironia con cui gli ho risposto ha stupito persino me.
“Qui abitano anche dei tuoi amici?”
“Sì, qualcuno”
“Non è che per caso potresti...”
E prova quindi ad utilizzarmi come mediatore per un rapporto sessuale con qualche mio amico. Rapporto che dovrebbe essere dello stesso tipo di quello appena proposto a me.
La sfacciataggine e l’ingenuità di questo individuo sono disarmanti. A parte l’improponibilità della richiesta, è come se non si rendesse conto che sono le tre del mattino e che tutti stanno dormendo. Sono l’unico nei paraggi, non c’è nemmeno una finestra con la luce accesa e nel quartiere regna un silenzio di tomba.
La Thailandia può essere definita senza dubbio il paese più gay dell’Asia, forse del mondo. La presenza degli omosessuali spazia a trecentosessanta gradi su tutta la sfera sociale. Gay, lesbiche e travestiti sono estremamente inseriti e si possono incontrare tanto facilmente tra il personale di un grande magazzino quanto nei bar di un quartiere a luci rosse.
Ma i gay thailandesi al massimo ti sorridono, ti ammiccano e ti fanno un commento mentre gli passi davanti, come se non ci sperassero nemmeno che tu ti fermi a dargli retta. È invece la Malesia il posto in cui capitano gli approcci più sorprendenti.
Alcuni anni fa a Kota Bharu, la capitale del Kelantan, lo stato più “islamico” del paese, passeggiavo dopo cena lungo una strada del centro.
Mi accorgo che un’auto mi si è affiancata e che il conducente, dopo aver abbassato il finestrino, mi sta chiamando.
“Ehi ciao, dove vai?”
“Mah, sto soltanto facendo una passeggiata. Nessun posto in particolare”
“Salta su che ti do un passaggio”
“Ah, no grazie, preferisco camminare. Arrivederci”
E proseguo.
Il tizio dell’auto non ha niente a che fare con i due omosessuali di cui parlavo prima. Non è assolutamente un tipo raffinato e non si esprime con quegli atteggiamenti da checca adottati spesso dai gay in estremo oriente. Dà l’impressione di essere piuttosto un camionista malay o un muratore indiano. Non sembra gay ma non per questo accetterei il suo invito a salire in macchina.
Credo di non aver ancora fatto dieci passi quando l’auto mi si affianca nuovamente. Il tizio corpulento si sporge dal posto di guida, apre la porta e con un tono un po’ esasperato mi rimprovera:
“Dai sali! Ma non hai capito? Ti voglio soltanto...”
E anche lui, senza troppi giri di parole, evitando l’utilizzo di tecnicismi linguistici, mi propone un rapporto orale.
‘E come, non avevo intuito?’ Mi viene da rispondergli. Proprio per quello mi ero defilato.
“No!” esclamo ad alta voce. E me ne vado.
Curiosa questa predilezione dei gay asiatici per lo specifico tipo di rapporto che spesso propongono.
Mentre cammino verso casa penso a quel che avrebbe potuto dire un personaggio di Verdone, o magari di Tomas Milian:
“Aoh! Ma mai che fosse ‘na donna, e che cazzo!”
E senza fermare il passo scoppio a ridere da solo.
Kuala Lumpur |
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1 commento:
...dai nonno smettila di fare il difficile...prima o poi dovrai pure provare
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