Jalan Sultan Ismail è un largo viale che collega Bukit Bintang e il Golden triangle, due delle zone più vivaci della città. Più multietnica, asiatica e caotica la prima, come un grande bazar all’aperto; più business ed elegante, come un moderno centro commerciale, la seconda.
Ai due lati della strada si alternano hotel di lusso e grandi edifici commerciali, prime avvisaglie del business district in cui mi sto per addentrare. Al centro, tra le due carreggiate, una decina di metri sopra le teste dei passanti si libra la struttura della Monorail, una ferrovia metropolitana i cui vagoncini scivolano abbracciando una rotaia di cemento a cui sembrano stare aggrappati con delle rotelle orizzontali.
Un sistema di trasporto che ha del futuristico – rimandando alla scenografia di film alla Blade runner – e che nelle più avanzate città europee, impegnate spesso ancora nello sviluppo di linee di tram e filovie, la gente si sogna soltanto.
Mi è sembrato di udire dei suoni insoliti. Mi concentro un attimo e ascolto con attenzione: sono urla e trombe da stadio. Il rumore arriva attutito, come dall’interno di un palazzetto dello sport in cui si gioca una partita di pallacanestro.
Proseguo per alcuni metri e alla fine di una lunga curva, proprio sotto la stazione della Monorail, mi trovo davanti un folto gruppo di ragazzi in motorino. Stanno fermi al bordo della strada, su uno spiazzo vuoto. Sono molto giovani, i più grandi non hanno più di vent’anni. Sembrano i tifosi di una squadra di calcio: alcuni indossano magliette colorate e quasi tutti sventolano bandiere blu con una bilancia bianca disegnata nel centro.
Non sono i colori sociali di una squadra sportiva, bensì quelli del Fronte Nazionale (Barisan Nasional), la coalizione di governo. Anche la Malesia è infatti nel bel mezzo della campagna elettorale. Non credo che da noi se ne parli molto, anzi forse non se ne parla per niente. Con le primarie negli Stati Uniti che catalizzano l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale e le politiche in Italia e Spagna, le elezioni in un paese lontano come la Malesia non sono un argomento che fa notizia.
Qui, come nella vicina Singapore, la stampa è a dir poco docile nei confronti del regime. Si può sicuramente dire che in un paese tutto sommato meno sviluppato come la Thailandia la stampa è di gran lunga più libera e autonoma di quanto lo sia qui. E lo è stata persino nel periodo compreso tra il colpo di stato di fine 2006 e le recenti elezioni democratiche.
“Choose well” titola oggi un quotidiano in inglese distribuito gratuitamente alla popolazione malesiana. Segue l’invito a non votare pensando agli interessi particolari preoccupandosi invece del bene collettivo del paese; tradotto: votate per il Fronte Nazionale. E nelle pagine di politica interna per tutta la settimana vari articoli riportavano le interviste ai canditati della maggioranza, improntate spesso alla demolizione della reputazione degli avversari. La priorità in Malesia non è data come da noi al concetto di Par condicio, bensì a quello di Security, dove con Security si intende ovviamente la sicurezza della propria poltrona di parlamentare o ministro.
Uno degli obiettivi preferiti dai candidati della coalizione di governo sembra essere Anwar Ibrahim, un ex-membro del partito di maggioranza arrivato a ricoprire ruoli di prestigio come quelli di ministro dell’istruzione, ministro delle finanze e persino di vice-premier. Dopo aver “pestato i piedi” al suo capo – Mahatir Mohamad – Anwar fu incarcerato senza processo, cosa che da queste parti è possibile facendo ricorso al famigerato Internal Security Act, uno strumento piuttosto antidemocratico condannato da varie agenzie internazionali per la difesa dei diritti umani. Tornato in libertà dopo alcuni anni, Anwar ha formato la propria lista elettorale e si è presentato alle elezioni.
“Anwar Ibrahim era anti-cinese” spiega all’intervistatore uno dei leader di quel partito della coalizione di governo che difende gli interessi della minoranza cinese. L’accusa si riferisce ad una vicenda di molti anni fa. Anwar, al tempo ministro dell’istruzione, mosso da sentimenti di natura razzista si sarebbe opposto all’invio di un gruppo culturale di etnia cinese a Pechino. Un accorato appello al presidente buono, padre virtuale di tutti i malesiani e amico di tutte le minoranze etniche – il mitico Mahatir – sarebbe poi stato accolto, mandando così in frantumi il disegno diabolico del razzista Anwar.
Storie ingenue, un po’ infantili che vedono i buoni dei partiti di governo contrapposti ai cattivi dei partiti di opposizione, musulmani o cinesi che siano. Storie che comunque colpiscono in maniera calcolata una buona fetta della popolazione che poi alle urne segue come sempre il consiglio del quotidiano in inglese, scegliendo bene e mandando al governo la Barisan Nasional, la squadra dei buoni, la forza equilibrata, la coalizione della bilancia, con una maggioranza bulgara.
Un’altra delle tecniche un po’ ridicole utilizzate dalla Barisan Nasional – e, in misura minore, da tutti gli altri partiti – per animare la campagna elettorale e rinfrescare la memoria ai cittadini che devono “Choose well”, è appunto il reclutamento di questi militanti-ragazzini motorizzati, che vengono muniti di bandierine, fischietti e trombette, rimborsati probabilmente delle spese per la benzina e omaggiati di un paio di pasti economici, in cambio delle loro rumorose corse per la giusta causa.
Scherzano, si picchiano le aste delle bandiere sui caschi, le ragazze sorridono smorfiose e i maschietti gonfiano il petto. In pochi sembrano essersi interrogati sulla vera natura della loro attività. Non si muovono ancora, si voltano ad osservare la strada, sembra che attendano qualcuno.
Poi arriva un gruppo di auto strombazzanti, su cui sventolano altre bandiere blu nelle mani di giovani seduti sui finestrini, con i corpi protesi all’esterno. Fanno dei segnali ai ragazzi dei motorini, questi rispondono con grida e colpi di tromba, poi salgono in sella e si aggiungono al corteo festante. Per loro è soltanto un gioco.
Da questo momento fino a notte fonda percorreranno senza sosta le vie del centro, sforzandosi di sensibilizzare gli elettori malesiani e riuscendo ad incuriosire prima e a infastidire poi gli increduli turisti stranieri che sentiranno a lungo il baccano raggiungere le loro stanze d’albergo.
Signore e signori, ecco a voi la Malesia, una delle tigri d’Asia. Elezioni quasi libere, campagna subdola e stampa compiacente. Un cocktail micidiale ma rigorosamente analcolico, per un paese in cui la maggioranza segue i dettami dell’Halal.
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