È l’una. Interrompo la lezione e porto i miei studenti alle Torri Petronas. Scegliamo un bel caffè coi tavoli all’aperto, investiti da soffici sbuffi d’acqua fresca.
Ci sediamo e apriamo i menu, poi qualcuno chiede: “Ma Huda dov’è?”
Ad un altro tavolo sta seduta una donna, con un velo da cui spunta un viso paffuto e simpatico. Inconfondibile: è Huda, viene dall’Oman.
Quando noi stavamo ancora scegliendo il posto, è scivolata verso un tavolino dalla vista occultata. Di fronte a lei, silenziosa e compunta, si eleva una colonna di metallo opaco.
Io maschero l’imbarazzo dietro al menu. Faccio finta di niente e non faccio niente, perché sono sicuro: è meglio così. Tutto attorno a me si agitano mani. Quelle di Carmen, minuscole e ansiose, si affannano verso Huda per invitarla a unirsi a noi. Il palmo di Huda che si allunga in avanti, per dirci di girarci e di scordarci di lei. Le manone di Aleksandar, lo studente di Zagabria, che stringono i braccioli come fossero pompette, mentre la sua testa si volta nervosa, verso la compagna auto-emarginata. Strizza le labbra e gonfia le gote. Facciamo qualcosa? È la sua domanda muta. Ma cosa? Come? La risposta che non c’è. Le dita degli arabi scorrono lungo il menu. Sereni, imperturbabili: Huda? Ma chi è?
Sono a disagio ma non mi stupisco. Anche quando siamo in mensa non si siede mai con noi. All’inizio del corso ha individuato il suo posto: l’unico tavolino appoggiato alla parete. Se non osserva il cibo che si porta alla bocca, può solo fissare il muro che ha davanti a sé.
Terminato il pranzo i sauditi si alzano, salutano, sorridono e poi vanno in moschea.
Anche Huda ha finito, e attende a testa bassa. Quando gli uomini sono lontani si alza pure lei, con un movimento del capo sembra saluti la colonna, poi ci sorride e finalmente si avvia.
Huda silenziosa, pranza con la colonna. Ce l’ha chiesto con le mani, scordiamoci di lei.
Foto Petronas Towers e Patong beach, di Fabio Pulito
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