Apro gli occhi. Da qualche minuto il getto del condizionatore disegna un cerchietto di freddo sul velo di sudore che mi copre la fronte. L’ambiente climatizzato del taxi e il calore del corpo avvinghiato al mio sono lo Yin e lo Yang di questa notte che volge all’alba. L’abbraccio con la studentessa straniera si fonde nell’odore e nella sensazione di ruvido della miscela di fumo, vapori d’alcol e note distorte che c’è rimasta spalmata addosso nel locale in cui ci siamo incontrati alcune ora fa.
Le sue labbra hanno la consistenza della carne che circonda una puntura di insetto e mi baciano la guancia saltellando col tocco fresco e morbido delle zampe di un cucciolo. Si muove lentamente e ad occhi chiusi, come se la scena la stesse sognando. O come se la stessi sognando io.
Fuori dal finestrino sfreccia una sagoma familiare, e poi un’altra. Avverto il tassista. Quando l’auto si ferma la bacio, scendo e resto ad osservarla mentre si allontana. Ha uno sguardo deluso, o sollevato. Tanto la rivedrò, penso, ce lo siamo promessi. Mi sbagliavo, ma sembrava giusto così. Ed è il momento quello che conta, non l’analisi, né la sintesi o le conclusioni elaborate a freddo.