Le maglie rosse si sono ritirate e i loro capi si sono consegnati alle autorità. Ma la situazione a Bangkok ieri era assurda, per alcuni versi tragicomica. Trascinata da quella della sua capitale, la storia del paese scorreva su due trame completamente diverse. E forse, paradossalmente, questo dimostra sia a chi si azzuffa che a chi osserva e commenta quale sia il vero stato d'animo della popolazione.
È lunedì 13 aprile, primo pomeriggio. Alcuni dei più importanti incroci sono stati chiusi dalle forze dell'ordine e nella zona di Yommarat i dimostranti (o rivoluzionari?) si confrontano ancora con esercito e polizia. Gli abitanti del quartiere osservano dalle finestre il gran dispiego di armi, i blindati dell'esercito, i mezzi pubblici sequestrati dai rossi per bloccare le strade e le cisterne di gas sistemate per formare barricate.
Contemporaneamente, in barba a chi sta facendo a gavettoni nelle isole del sud o a Chiang Mai rammaricandosi per la sorte dei Bangkokians, costretti a celebrare il Songkran barricati in casa, gli abitanti della capitale hanno infranto le regole dello stato di emergenza e sono accorsi a migliaia verso l'area di Silom Road, nel pieno cuore del centro, dando luogo ad una delle feste più folli che si siano viste negli ultimi anni.
Centinaia di metri, forse chilometri, di strade e marciapiedi sono stati occupati da gente che a piedi o su veicoli di ogni genere spara acqua sulla folla con fucili di plastica o la versa sui passanti con bottiglie e secchielli dopo averla pescata da contenitori di plastica, spesso pieni di ghiaccio.
Ai lati del vicolo Patpong sono state sistemate lance da pompieri con cui alcuni addetti fanno cadere sulla gente getti liquidi lunghi e sottili o larghi e ad ombrello. Percorrere il vicolo da un capo all'altro significa nuotare tra strati alterni di acqua ghiacciata e tiepida mentre ragazze e ragazzi intingono la mano in un secchiello riempito con una miscela di acqua e polvere e con una carezza ti spalmano sulla faccia un velo propiziatorio color sabbia.
L'euforia del gioco, il boato della musica pompata dalle casse giganti, la vibrazioni dei balli e la potenza simbolica di un atto che è un “Lasciateci in pace! Chi se ne frega delle vostre lotte per il potere” gridato a squarciagola dalle migliaia di Bangkokians che ti scivolano attorno come in un tobogan umano, ti fanno dimenticare temporaneamente che proprio qui, nella stessa città, c'è ancora in corso una mezza rivoluzione, sicuramente qualcosa di più di una manifestazione, che il meccanismo politico è in stallo, che vige lo stato di emergenza (vallo a dire a queste brigate di Nettuno che sono vietati assembramenti con più di cinque persone) e che il paese è stato sull'orlo di un tentato colpo di stato, orchestrato e finanziato all'estero da un ex primo ministro che a sua volta fu deposto con un golpe. E mi ritrovo così a preoccuparmi non delle questioni di sicurezza ma per le sorti del libro che ho in borsa e che non ho fatto a tempo ad avvolgere in un sacchetto. È una copia in lingua originale di "Meridiano di sangue" di Cormac McCarthy, un volume a cui tengo molto, tanto che quando sgancio la fibbia e alzo il lembo per controllarne le condizioni mi ritrovo a pensare che sono questi i momenti in cui vorresti aggrottare le sopracciglia e chiederti come diavolo c'è finito lì dentro l'ultimo episodio della saga di Harry Potter.
Martedì mattina. Il caos è quasi terminato, la situazione si sta stabilizzando. Ci sono state alcune decine di feriti e due morti, a cui vanno aggiunti ingenti danni materiali e l'ormai abituale picchiata della reputazione nazionale. Ma nonostante il tono utilizzato da gran parte della stampa internazionale si può forse dire che poteva andare molto peggio; si può addirittura azzardare un respiro di sollievo.
I rossi hanno abbandonato le barricate, per quanto non si sa. Il governo ha recuperato un po' di credibilità e soprattutto nello sforzo per ristabilire l'ordine è riuscito finalmente a coinvolgere appieno polizia ed esercito, che fino ad ora erano sembrati recalcitranti e persino fuori controllo.
L'impressione è che eventi del genere continueranno ad accadere fino a quando non si arriverà ad una sorta di compromesso con un garante rispettato da tutti. E questo in Thailandia non può essere altri che il re.
Qualcuno però oltre a discutere le ragioni e i torti delle varie fazioni dovrebbe cominciare a domandarsi perché migliaia di cittadini di Bangkok e milioni in tutto il paese, disinteressandosi delle questioni politiche e delle indicazioni dei loro leader, hanno deciso di sfidare la minaccia dei manifestanti e lo stato di emergenza imposto dal governo per scendere in strada e festeggiare il Songkran.
Foto Songkran a Silom Road, Bangkok, di Fabio Pulito
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