Io al contrario mangio di tutto, a meno che non sia una schifezza conclamata o una piantagione di peperoncino che si spaccia per minestra. “Can I join you?” gli chiedo. “Of course, Mr Fabio!”. E lo seguo in metropolitana fino a Little India.
Entriamo nel locale e ci laviamo le mani. Bisogna concentrarsi soprattutto sulla destra, quella che si usa per toccare il cibo – la sinistra è utilizzata alcune ore più tardi, durante l'ultima fase del ciclo digestivo. È evidente il motivo per cui non vanno invertite.
Al centro, sul riso, vanno versati i curry. Vijay ordina del Sambar, un dal al tamarindo. Per ogni nuova salsa si farà servire altro riso: ne mangia una quantità che sfamerebbe un brontosauro! “That's why the Indians have such a big tummy” mi ha detto una volta schiaffeggiandosi la panza che stona un po' sul suo corpo muscoloso. Sa però che per me una razione è sufficiente e mi suggerisce di dividerla in tre aree distinte. Su una farà versare un mestolo di sambar, su un'altra una porzione di un dal piccante e sull'ultima una colata di yogurt acquoso.
Le posate indiane sono le dita, utilizzate per mescolare il riso e le salse, a cui si aggiungono delle prese di verdure speziate. Se una salsa non è abbastanza piccante poggiamo un polpastrello sui pickles di limone. Alla fine assaggio la mistura digestiva: mi piace il suo gusto fortemente agro e Vijay sembra sorpreso quando glielo dico. Terminiamo bevendo un dessert di cereali. Vijay afferra i lembi della sua foglia e la piega impacchettando i resti del pranzo. Mi guarda, sorride e io faccio lo stesso. "Non così, nell'altro senso! Altrimenti significa che non ti è piaciuto..." Che metodo curioso per esprimere un giudizio. "Vabbè, ma chi avrà mai il coraggio di farlo?" La butto lì con un sorriso d'intesa. "Io lo faccio!" risponde ridendo.
(Foto da wikipedia.org)
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