Scendo dalla BTS a Saphan Thaksin, mi fermo alle bancarelle, compro riso e spiedini, dei cubetti di tofu e una bottiglietta di te, poi svolto a destra ad un grande incrocio. Cammino su un marciapiedi insolitamente spazioso, tirando e masticando gli ultimi pezzi di carne quando noto una scena che mi inchioda sul posto.
Un vecchietto curvo mi cammina incontro, spingendo un enorme carrello della spesa. Questa non è affatto una scena atipica, ma c'è qualcosa che cattura la mia attenzione. Una delle ruote è incastrata in una crepa e il vecchietto spinge ma non riesce a sbloccarla. La testa e le spalle si allungano in avanti, le ginocchia si abbassano e le gambe tremano, ma non c'è nulla da fare, il carrello non si muove. Il foro nel suolo che ha fermato il carrello è una cosa da nulla, che quasi non si vede: ma è proprio guardandolo che mi rendo conto di quanto sia debole questo vecchietto.
Proprio quando mi muovo per andarlo ad aiutare la ruota fa un balzo e comincia a ruotare. Sebbene il vecchietto sia già oltre di me, non riesco ad andarmene e continuo ad osservare. Dimostra settanta o forse ottant'anni, ma non sarei sorpreso se ne avesse molti di meno. I capelli sono grigi e ben curati mentre dei ciuffi bianchi gli spuntano sul mento. Una camicia bianca di un tessuto leggero svolazza scoprendogli le braccia rinsecchite. Indossa pantaloncini e ciabatte di plastica. Una delle caviglie è infilata in un calzino, grigio, infeltrito e aperto davanti. Nel carrello trasporta delle bottiglie vuote, oggetti di plastica e un monte di rifiuti. Come molta altra gente che vive a Bangkok, si guadagna da vivere smerciando quella roba.
Avanza lentamente, forse un metro al giorno, ed ogni movimento gli toglie un anno di vita. Non può aggiustare spesso la traiettoria del carrello: le ruote svoltano soltanto quando il mezzo urta contro un edificio o raggiunge il marciapiedi. Durante un segmento di questo zig-zag si avvicina inesorabilmente alla parete di una casa: alcuni operai, che vi appoggiano la schiena, si devono spostare per farlo passare. Poco più in là un guardiano notturno lo aiuta a proseguire oltre uno scalino.
Sarà il senso di colpa per non averlo aiutato, o il fatto che l'uomo non chiede nulla a nessuno: decido di avvicinarmi e di allungargli una mancia. Esito un attimo, perché non si sa mai e a volte le buone intenzioni attirano gli insulti. C'è un autobus accanto, bloccato nel traffico. Una donna sta in piedi sugli scalini dell'entrata, cantando una canzone che proviene dall'interno. Nota il vecchietto che spinge il suo carrello, salta giù dall'autobus e gli corre incontro, gli infila in mano una mancia e poi ritorna a bordo. L'uomo era impegnato talmente a fondo che quando alza lo sguardo la donna non c'è più. Farfuglia un khoop khun e se n'è già dimenticato.
Fugato ogni dubbio comincio a camminare, raggiungo il vecchietto e aspetto la mia chance. Quando una ruota finisce in una buca, lo sento mormorare un uiii di frustrazione, lo aiuto a ripartire e gli infilo in mano venti baht.
Lo osservo mentre mi guarda e mi sorride distratto.
Pochi metri più in là però ci ripenso. Rivedo il suo volto e mi viene un sospetto: quello che all'inizio mi è sembrato un sorriso forse era soltanto una smorfia di fatica.
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