Percorro il marciapiedi e con la coda dell'occhio percepisco distrattamente la vita al bordo della strada. Parrucchiera, 7/11, bancarella, estetista. La sera thailandese mi scorre attorno, tra profumi, attività, confusione e gente. È il rumore di fondo, l'ambientazione a margine: mi sfiora gentilmente solleticando i sensi, stimolando piacere senza farsi notare.
Dietro una vetrina una signora prega, rilassata e immobile in un devoto wai. I palmi giunti, il capo chino, gli occhi chiusi ed un mantra in mente. Il mio sguardo scende verso il luogo sacro, aspettandosi di poggiarsi su una ghirlanda gialla, un tempio rosso-oro, statuette di Buddha. La sequenza delle mie mosse si svolge in background, non è un pensiero attivo ciò che la comanda, ma un riflesso, un istinto, una serie di immagini, già impresse nella memoria, che cercano conferme. Ogni oggetto, profumo, colore o suono, trova il suo posto in un armonia dimensionale. Se nulla stona la mia trance prosegue, il passo costante e lo sguardo mobile.
Ad un tratto rientro in possesso attivo dei miei sensi, è qualcosa che ho visto, che non mi aspettavo. Non mi sto sbagliando, non c'è alcun equivoco: la donna sta rivolta verso un angolo del negozio, davanti a lei c'è soltanto un tavolino e sopra il tavolino ciò che mi ha bloccato: sistemati con ordine, schierati in file e colonne, dei robot giocattolo di plastica colorata. Un plotone di Gundam o di mostri di Vega, ritti sull'attenti, di fronte alla donna che prega.
Quando credi ormai di esserti abituato, di essere in sintonia con ciò che ti sta attorno, di riuscire a dare un senso anche se non afferri l'essenza, ti ritrovi confuso in mezzo al marciapiedi ad osservare una signora che in devota preghiera si rivolge ad una truppa di eroi della tua infanzia.
E hai la vaga sensazione di cominciare daccapo.
Foto di Fabio Pulito
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