Col ristorante pakistano ormai alle spalle, uno thailandese che mi appare sulla destra e un hotel giapponese poco più in là, è come camminare su una cartina dell'Asia, da un angolo in basso verso nord-est. Un signore indiano esce dall'hotel, con la barba annodata, il panzone e il turbante, e io comincio a giocare un gioco solitario, con calcoli in background di derivate e integrali, uno studio delle funzioni che regolano le traiettorie, alla ricerca di un flesso, un punto di intersezione. La mente calcola involontariamente e il passo segue una curva ampia che cambia inclinazione in modo graduale. A sua insaputa l'indiano sta al gioco e risponde all'apertura con mosse calibrate che tengono la partita agganciata all'equilibrio, verso uno scontro in un punto che non muta, a cui ci avviciniamo inesorabilmente. A un metro di distanza la faccio finita e scarto a sinistra con passetti di danza. Lui si volta, mi fissa con gli occhi a palla, in uno sguardo ipnotico che mi fa sorridere, poi mi strappa dall'illusione di quel gioco tra me e me. "Sei una per-r-r-rsona molto for-r-r-rtunata." Ho un po' di fretta e continuo a camminare. Mentre mi allontano le sue "r-r-r" masala continuano a raggiungermi come il fischio di un treno, modulato e distorto dall'effetto Doppler. "E lo sai per-r-r-rché?" "Certo, certo..." e detto questo giro l'angolo.
Che avrei fatto se non lo avessi riconosciuto? Ma sapevo già tutto. Gli indovini sikh, gli impostori di Bangkok, li hai visti tante volte nelle aree turistiche. La filippina a cui hanno chiesto seimila baht. Affretto il passo sotto la cappa di mezzogiorno. Dal retro di un edificio ne spuntano altri due. Un generale del corpo d'armata del nord-ovest ha sguinzagliato le pattuglie del suo esercito mistico, a caccia di palmi e polli da spennare. Questi due mi fissano mentre mi camminano incontro. "Lo sai che sei una per-r-r-rsona molto for-r-r-rtunata?" "Sì, sì, e come non lo so?" "E sai per-r-r-rché?" "Perché sono riuscito a non farmi fregare dal tuo collega. E stai pur certo che non mi fregherai nemmeno tu." Non so fino a che punto ho pronunciato la frase e da quale in poi l'ho soltanto pensata. Ma una cosa è sicura, dichiarata, esposta: sono una per-r-r-rsona molto for-r-r-rtunata.
Immagine "Indovino", di Daniel Fort, da AllPosters.com
Qui non troverete le pagine di un diario di viaggio, né elogi a luoghi fantastici o cronache di memorabili incontri. Questa è una raccolta di storie, pensieri, immagini. Ma soprattutto di stranezze, che per altri magari sono normalità. Perché per osservarle, queste bizzarrie, sono necessari filtri speciali: stramberia, cinismo, pignoleria, testardaggine, isolamento, impudenza, curiosaggine, nerdismo. Difetti che modestamente, in varia misura, questo individuo seminomade possiede un po' tutti.
giovedì 31 dicembre 2009
martedì 29 dicembre 2009
Tsunami 2004: è soltanto la vita che funziona così - Phuket, Thailandia
Alla fine del 2004, dopo lo tsunami che colpì l'Asia, scrissi un lungo resoconto su ciò che vidi quei giorni. L'ho compresso di recente in un post di pochi paragrafi.
(Fine 2004)
(Fine 2004)
Sveglia al naturale, è la mattina di Natale. Il corso a Kuala Lumpur riprenderà tra una settimana, compro un volo low-cost e atterro a Phuket. Ho un piano nebbioso che mi porterebbe a Koh Phi Phi, ma cambio idea all'aeroporto: è la stagione super-alta, l'isoletta-paradiso è costosissima e affollata. E questa si rivelerà una scelta fortunata. Alloggio a Phuket town, un po' lontano dalla costa, scelta fortunata numero due. Incontro degli amici ad una festa a Nai Harn, in una casa con piscina, non lontana dalla spiaggia. Verso mezzanotte partiamo per Patong, alla thailandese: in tre su un motorino. La serie di colline offre un film di cartoline: Kata e Karon sono falci scintillanti, sfiorate dalla marea, le palme e la luna. Siamo tra gli ultimi che le vedranno così.
In spiaggia è festa e gironzoliamo fino all'alba. Quando stiamo cercando un angolo di sabbia, dove sdraiarci e riposare all'ombra per un po', cullati dalla brezza e dal suono delle onde, il destino vola basso e ci afferra per il collo, ci mette sulla moto e ci riporta a casa.
Mi sveglio tardi ed entro in un cybercaffe. Quando sto per aprire il sito di un giornale, il telefonino vibra, squilla, prepotente. È mio padre che dall'altro capo del pianeta mi spiega cosa succede a pochi chilometri da qui. Incontro i miei amici e seguiamo i notiziari. Vorrei raggiungere la spiaggia ma mi dicono che è impossibile: non mi perdonerò mai per non averci provato. Vado al centro di soccorso, allestito in fretta al municipio. Ci tornerò spesso nei giorni che seguono. Faccio un po' da interprete e aiuto qualche vittima, parlo e ascolto, osservo e imparo.
Dicono che a Natale la gente si sente più buona, e che coincidenza: è proprio Natale, ma le feste non c'entrano con tutto ciò, la gente è buona a causa della tragedia, buona o cattiva, cattiva e buona. Qualsiasi sentimento ne esce amplificato. C'è una ragazza straniera che si muove tra le tende, urla e posa, piange e ride, ha captato un'opportunità che palpita nell'aria e non resiste alla tentazione di mettersi in mostra. Ma la maggior parte degli ospiti siede in cerchi, alcuni attorno ai bagagli ed altri attorno al nulla, silenziosi e pazienti, aspettano e riflettono. I thailandesi distribuiscono vestiario e cibo. Un bolognese vaga in costume e ciabatte, e questo è tutto quel che gli è rimasto: niente passaporto, contanti, occhiali. Mi chiede informazioni, poi mi sorride e ringrazia. Il dramma non cancella gli anni di bon ton.
L'atmosfera di questi giorni ha un profilo surreale, è come un vecchio giradischi che accelera da 33 a 45 giri. Senti l'intensità e cerchi di assorbirla, ti riempie il petto e svuota il cervello. Riesco finalmente a contattare alcuni amici che da alcuni giorni cercavo di rintracciare. Un inglese è a Chiang Mai dove si è innamorato, non è mai salito sul treno per il sud. Un altro era a Koh Lanta, è stato colpito dalle onde ma se l'è cavata con qualche livido e dei tagli. Una ragazza thailandese lavora in un resort, di preciso non so come, ma è riuscita a salvarsi.
Il mondo rallenta, io risalgo la Thailandia, arrivo a Bangkok e da lì volo a Kuala Lumpur. L'intensità cala e le sensazioni si attutiscono, più la situazione ritorna alla normalità più io mi sento vuoto, debole, confuso.
Ma non c'è da preoccuparsi, non è nulla di strano: è soltanto la vita che funziona così.In spiaggia è festa e gironzoliamo fino all'alba. Quando stiamo cercando un angolo di sabbia, dove sdraiarci e riposare all'ombra per un po', cullati dalla brezza e dal suono delle onde, il destino vola basso e ci afferra per il collo, ci mette sulla moto e ci riporta a casa.
Mi sveglio tardi ed entro in un cybercaffe. Quando sto per aprire il sito di un giornale, il telefonino vibra, squilla, prepotente. È mio padre che dall'altro capo del pianeta mi spiega cosa succede a pochi chilometri da qui. Incontro i miei amici e seguiamo i notiziari. Vorrei raggiungere la spiaggia ma mi dicono che è impossibile: non mi perdonerò mai per non averci provato. Vado al centro di soccorso, allestito in fretta al municipio. Ci tornerò spesso nei giorni che seguono. Faccio un po' da interprete e aiuto qualche vittima, parlo e ascolto, osservo e imparo.
Dicono che a Natale la gente si sente più buona, e che coincidenza: è proprio Natale, ma le feste non c'entrano con tutto ciò, la gente è buona a causa della tragedia, buona o cattiva, cattiva e buona. Qualsiasi sentimento ne esce amplificato. C'è una ragazza straniera che si muove tra le tende, urla e posa, piange e ride, ha captato un'opportunità che palpita nell'aria e non resiste alla tentazione di mettersi in mostra. Ma la maggior parte degli ospiti siede in cerchi, alcuni attorno ai bagagli ed altri attorno al nulla, silenziosi e pazienti, aspettano e riflettono. I thailandesi distribuiscono vestiario e cibo. Un bolognese vaga in costume e ciabatte, e questo è tutto quel che gli è rimasto: niente passaporto, contanti, occhiali. Mi chiede informazioni, poi mi sorride e ringrazia. Il dramma non cancella gli anni di bon ton.
L'atmosfera di questi giorni ha un profilo surreale, è come un vecchio giradischi che accelera da 33 a 45 giri. Senti l'intensità e cerchi di assorbirla, ti riempie il petto e svuota il cervello. Riesco finalmente a contattare alcuni amici che da alcuni giorni cercavo di rintracciare. Un inglese è a Chiang Mai dove si è innamorato, non è mai salito sul treno per il sud. Un altro era a Koh Lanta, è stato colpito dalle onde ma se l'è cavata con qualche livido e dei tagli. Una ragazza thailandese lavora in un resort, di preciso non so come, ma è riuscita a salvarsi.
Il mondo rallenta, io risalgo la Thailandia, arrivo a Bangkok e da lì volo a Kuala Lumpur. L'intensità cala e le sensazioni si attutiscono, più la situazione ritorna alla normalità più io mi sento vuoto, debole, confuso.
PS pochi mesi più tardi peacereporter.net pubblicò anche un reportage che scrissi sugli effetti dello tsunami a Koh Phi Phi
Foto segnale di pericolo tsunami, Koh Phi Phi, di Sergio Pitamitz, da AllPosters,com
domenica 27 dicembre 2009
Sperimentare - Kuala Lumpur, Malesia
Il livello dell'inglese in Malesia è ottimo. Malese, cantonese, mandarino e tamil devono dare spesso la precedenza all'inglese. Ma c'è una tentazione a cui i malesiani non resistono: l'uso sfrenato di buffi formalismi. L'espressione "sperimentare" è una delle più abusate. Le specialità di un ristorante non si assaggiano né mangiano, si preferisce piuttosto sperimentarle. Un frullato non si beve, ma se ne prova l'esperienza. Stessa cosa per l'aria pulita in corriera, che non ci si può certo limitare a respirare. I malesiani sperimentano, sono degli empiristi: se Galileo fosse ancora vivo verrebbe da queste parti e lancerebbe i suoi pesi dalle torri Petronas.
Ritratto di Galileo Galilei, di Leoni (P.D.)
Ritratto di Galileo Galilei, di Leoni (P.D.)
sabato 26 dicembre 2009
L'effetto di un gesto - Kuala Lumpur, Malesia
Percorro le viuzze, in salita e discesa, alla ricerca di un'ispirazione e di qualcosa da mangiare. Le trovo dietro un angolo: una zuppa di pan mee - fettuccine in brodo - in un ristorantino cinese. Un locale tipico, squallido, col pavimento sporco, di quelli che fra qualche anno non esisteranno più: perfetto per la zuppa, proprio quello che cercavo. Sarei potuto andare in un centro commerciale, qualche posto asettico, modulare, luminoso, tavoli e sedie di formica colorata. Niente frasi carine qui, pochi sorrisi, ma quel poco che raccatti è merce autentica: brilla di timidezza, di mezzi sguardi - roba con carati, umanità di zecca. Utilizzo le bacchette con mano sicura, sistemo con pazienza le tagliatelle sul cucchiaio, poi la carne macinata, le verdure, le acciughine. Finisco il brodo con cucchiaiate laterali, mi concentro sul succo, le spezie, i frammenti: è un vortice di gusto, odori forti, consistenza. All'uscita mi fermo sotto la tenda di plastica, il cielo di Kuala Lumpur è una spugna di piombo che gronda strati opachi di liquido tiepido. La signora mi chiede dove voglio andare, poi fa un cenno al ragazzino e questo mi chiama. Estrae un ombrellone da uno dei tavoli e attraversiamo la strada schivando auto e pozzanghere. Arrivo al centro commerciale eccitato e imbarazzato mentre un gruppetto di indiani ride divertito. Sento che un sorriso mi si aggrappa al volto: devo sembrare ridicolo dietro a quel film di gengive. È un sorriso da idiota, con effetto ostrica: si apre lentamente, divaricando le ganasce come uno strumento da dentista, inserito e avvitato. Sarà un sorriso da idiota ma non ci posso fare nulla: l'effetto di quel gesto durerà per un bel po'.
Foto "Singing butler" di Jack Vettriano, da AllPosters.com
venerdì 25 dicembre 2009
Natale tropicale atto III: distorsione festiva - Kuala Lumpur, Malesia
Non c'è la neve e quello ci può stare. Le musichette mielose le pari con le cuffie. Ma la distorsione festiva ha raggiunto il suo picco: c'è un'interferenza halloweeniana, un carnevalesco intruso. I malesiani sono in strada, con trombette e bombolette, tra scoppi di petardi e tentacoli di plastica. Loro si divertono, io sorrido o sghignazzo. San Francesco Saverio, gesuita esploratore - apostolo d'Asia - sussulta e apre gli occhi. Pensa “sogno o son morto?” e si rivolta nella tomba. “Se l'avessi saputo sarei rimasto in Navarra. Un monastero silenzioso, in cima ad un monte. Me lo sarei risparmiato quell'inferno d'oriente, in una spugna di monsoni, tra Goa e Macao.”
Foto "Battaglia di neve artificiale", Jalan Bukit Bintang - KL, di Fabio Pulito
Foto "Battaglia di neve artificiale", Jalan Bukit Bintang - KL, di Fabio Pulito
mercoledì 23 dicembre 2009
Nostalgia per il presente
Avete mai provato nostalgia per il presente? Il nostalgico nato trascorre anni e anni galleggiando in pozze di malinconia termale, incollato al pavimento di anticamere mentali, in cui proietta a ripetizione brandelli di ricordi, ad ogni giro edulcorati, ovattati, romanzati, incapace di uscirne e di riprendere a vivere. Dopo anni di esercizio è diventato un asso, un esperto puntiglioso, all'occorrenza un baro. Sa riconoscere al volo la circostanza o le persone, quelle sfumature di atmosfera che innescheranno il sentimento. Così anticipa il dopo, comprimendo il processo, provando nostalgia per quel che sta avvenendo. La sensazione è addictive, uno stupefacente per l'anima, sono pere di momenti, sniffate di vita. Disintossicarsi è impossibile e le attese snervano, così questo tossico diventa proattivo. Riconoscere l'occasione non gli basta più, impara a cercarla, a pilotarla, a comporla. La vita di costui non è convenzionale, gli ruba il sonno, lo scombussola un po', ma è una pentola a pressione di emozioni e intensità. E lui non riuscirebbe a viverne un'altra.
Immagine "Violino con giradischi e nostalgia" di Martin Fox, da allposters.com
Immagine "Violino con giradischi e nostalgia" di Martin Fox, da allposters.com
martedì 22 dicembre 2009
Senza fissa identità - Kuala Lumpur, Malesia
Changkat Bukit Bintang è una via secondaria appoggiata su un piano dolcemente inclinato. Sbuca dal quartiere degli hotel di lusso, tra saloni di massaggi e centri commerciali, per arrampicarsi su una scala di ristoranti e bar, verso il cucuzzolo di quella collinetta. È un'area dinamica, senza fissa identità, come un volto che ogni mese cambia occhi o naso. Sul marciapiedi i camerieri ti invitano a fermarti e se il locale ti piace è meglio che li segui: le attività da queste parti hanno la vita di un insetto, quel posto domani potrebbe non essere più lì.
Foto Bukit Bintang di Esther Lim (CC), da wikipedia.org
Foto Bukit Bintang di Esther Lim (CC), da wikipedia.org
Città accogliente - Kuala Lumpur, Malesia
Bangkok, Vientiane, Hanoi e Pechino sono un po' come l'Europa, hanno stagioni fisse, con un inizio e una fine, una diversa dall'altra. Stagioni secche, torride, monsoniche, inverni. Ma Kuala Lumpur è un posto speciale. Per dividere l'anno in base al clima si è costretti a giocare con sfumature piovose. I nomi delle stagioni potrebbero suonare così: non-stop, acquazzoni, pioggerella, piovischio. La città è accogliente non soltanto coi turisti: dopo aver subito i monsoni che le spettano, riceve a ondate quelli delle altre, che svernano qui nei periodi di bassa.
Foto "Uomo che guida un rickshaw durante la stagione dei monsoni" di John Dominis, da allposters.com
giovedì 17 dicembre 2009
That's China - Kunming, Cina
Dopo giorni di ricerca abbiamo trovato casa. Tre stanze da letto, un salone enorme. Sta al quinto piano e non c'è l'ascensore ma la vista sul Green Lake è da ore di ipnosi. Non sappiamo chi ci abitasse, né da quanto sia vuota, ma i pavimenti e il mobilio sono in condizioni pietose. L'agenzia ci consiglia un'impresa di pulizie. Arrivano tre ometti, in giacchetta e mocassini, un paio di secchi, spugne, stracci. Li osserviamo ammutoliti e ognuno pensa in silenzio al mantra che continuiamo a sentire da giorni. Se qualcosa non quadra la spiegazione è...that's China...
Per un paio d'ore fanno finta di pulire: all'inizio puntualizziamo, poi lasciamo stare. Quando è l'ora di andarsene sembrano aver fretta, sorridono nervosi e rimbalzano giù dalle scale. Ci guardiamo e questa volta lo diciamo ad alta voce, la spiegazione dev'essere per forza...that's China! Giriamo su noi stessi e osserviamo il risultato. Beh, dai, non lo avranno pulito, ma almeno hanno grattato via il primo strato.
Il giorno seguente apro un cassetto e rinvengo la borsa in cui tengo i contanti. Di tutto ciò che c'era nella casa è l'unico oggetto che hanno ripulito per bene. Non mi hanno lasciato nemmeno un renminbi.
Ma anche questa storia ha qualcosa da insegnare. L'espressione "That's China" non è una chiave universale e alla fine per certi aspetti tutto il mondo è paese.
Primavera 2006
Foto "Green Lake da una finestra", di Fabio Pulito
Per un paio d'ore fanno finta di pulire: all'inizio puntualizziamo, poi lasciamo stare. Quando è l'ora di andarsene sembrano aver fretta, sorridono nervosi e rimbalzano giù dalle scale. Ci guardiamo e questa volta lo diciamo ad alta voce, la spiegazione dev'essere per forza...that's China! Giriamo su noi stessi e osserviamo il risultato. Beh, dai, non lo avranno pulito, ma almeno hanno grattato via il primo strato.
Il giorno seguente apro un cassetto e rinvengo la borsa in cui tengo i contanti. Di tutto ciò che c'era nella casa è l'unico oggetto che hanno ripulito per bene. Non mi hanno lasciato nemmeno un renminbi.
Ma anche questa storia ha qualcosa da insegnare. L'espressione "That's China" non è una chiave universale e alla fine per certi aspetti tutto il mondo è paese.
Primavera 2006
Foto "Green Lake da una finestra", di Fabio Pulito
martedì 15 dicembre 2009
Uno zoo itinerante - Verso la Piana delle Giare, Laos
Il Songthaew (*) sfila parallelo al sentiero di Ho Chi Minh, sul lato occidentale, quello laotiano. Il sentiero non c'è più, forse non c'è mai stato: un percorso immaginario tra la giungla e il napalm. L'arrivo a Phonsavan ha un orario incerto. Al punto d'origine abbiamo atteso a lungo: se il mezzo non è pieno l'autista non parte. Lungo il tragitto ci fermiamo spesso, gente che sale, altra che scende, fermate per spuntini e capatine al bagno. Da qualche ora però l'assetto è stabile. Legato al predellino, come se fosse sulla brace, un maiale scuro ringhia e borbotta. Il pollame razzola tra le valige e i sacchi, mentre un animaletto sonnecchia in una gabbia di vimini.
Tra i passeggeri alcuni dormono, altri sono in trance. Picchiamo su una buca e scendiamo sulla terra. Do un'occhiata alla gabbietta che ha lo sportello aperto. Il padrone se ne accorge, ci guarda dentro, comincia ad agitarsi e si butta al suolo. Infila la testa sotto le panchine, scosta le borse, alza i pulcini. L'animale corre lungo il bordo del camion e quando l'uomo lo blocca in un angolo, lui attende atterrito e poi gli morde una mano. L'uomo impreca, scatta, lo insegue. Alla fine riesce a riportarlo nella gabbia. Ridono tutti, poi ritornano offline. Un biondo hippy russa tra le mosche, un laotiano rutta mangiando uova nere, le galline starnazzano e il porco grugnisce. È quasi il tramonto, siamo in mezzo al nulla, con un ampio zigzag tra i crateri delle bombe scivola a lumaca uno zoo itinerante.
(*) Songthaew: versione asiatica di un autobus, camioncino con due panchine per accomodare i passeggeri.
Autunno 2001
Foto di Philipp L. Wesche (CC), da wikipedia.org
Tra i passeggeri alcuni dormono, altri sono in trance. Picchiamo su una buca e scendiamo sulla terra. Do un'occhiata alla gabbietta che ha lo sportello aperto. Il padrone se ne accorge, ci guarda dentro, comincia ad agitarsi e si butta al suolo. Infila la testa sotto le panchine, scosta le borse, alza i pulcini. L'animale corre lungo il bordo del camion e quando l'uomo lo blocca in un angolo, lui attende atterrito e poi gli morde una mano. L'uomo impreca, scatta, lo insegue. Alla fine riesce a riportarlo nella gabbia. Ridono tutti, poi ritornano offline. Un biondo hippy russa tra le mosche, un laotiano rutta mangiando uova nere, le galline starnazzano e il porco grugnisce. È quasi il tramonto, siamo in mezzo al nulla, con un ampio zigzag tra i crateri delle bombe scivola a lumaca uno zoo itinerante.
(*) Songthaew: versione asiatica di un autobus, camioncino con due panchine per accomodare i passeggeri.
Autunno 2001
Foto di Philipp L. Wesche (CC), da wikipedia.org
La grande signora - di William Stabile
Riporto qui una poesia di William Stabile, un amico, scrittore, poeta e viaggiatore. I versi di William sono rubini birmani, in questa miniera di spezie, giungla e sudore. È un onore averlo qui.
Durante un viaggio a Panama nel 2003, seduto su uno sgabello al bancone di un bar, William scrive le prime strofe su un pacchetto di sigarette. Brandelli dei suoi viaggi stanno sparsi in queste pagine. Cercateli.
Durante un viaggio a Panama nel 2003, seduto su uno sgabello al bancone di un bar, William scrive le prime strofe su un pacchetto di sigarette. Brandelli dei suoi viaggi stanno sparsi in queste pagine. Cercateli.
La grande signora
"La poesia è l'unica prova concreta dell'esistenza dell'uomo", Luis Cardoza y Aragòn
Corteggi l'angolo assolato,
molto vicino al muro teso ad arco
della Plaza de Toros.
Al pomeriggio, la fascia di sole fa la strada bianca
che sfetta verso il mare.
Pietre, negli alveoli spugnosi di sapienza miliare
rimuginano sulle parole, lamentano caldo
e sudano storie: nel milleduecentonovantadue,
Sancho IV El Bravo ributtò indietro i Mori.
Non conosceva il damerino di Granada
sparato dai franquisti
che andava a spasso in campagna
con un agave come polipo pietrificato sulla testa.
Non sapeva che oggi, a Tarifa,
i ragazzi strizzano il vento dalle vele
e si aggrappano alle tette.
Ma, contro di te, fu già violenza,
Gran Signora.
lunedì 14 dicembre 2009
Una questione di forma - Bangkok, Thailandia
Sei in un bar all'aperto, sono le due di notte, la calura del giorno ha rilassato le ganasce: siedi con gli amici e vi fate quattro chiacchiere, una Singha grande è proprio quello che ci vuole. Il cameriere dissente, è già troppo tardi e quando stai per rifilargli la tua smorfia sconsolata, aggiunge però che puoi ordinarla in bottiglie piccole. Freni i muscoli del viso prima che sia troppo tardi e li risistemi in un sorriso di quelli standard, che potresti classificare con codici alfanumerici. Questo è il DX-7, bocca aperta ma non troppo, mani a mezz'aria con i palmi verso l'alto, significa: "chi se ne frega...vanno benissimo anche quelle!" Torna con le birre, e altrettanti bicchieri, tu sventagli la mano...quelli non ci servono. Lui versa e sorride, scuote il capo e versa, poi se ne va portando via i vuoti. Ma non l'hai ancora capito? C'è una legge sugli alcolici, non si può trasgredirla così sfacciatamente. È una questione di forma: la birra va bene, ma le bottiglie sul tavolo, quelle no!
Foto di Fabio Pulito
Foto di Fabio Pulito
Italiani in Asia/2: la Cina va presa con filosofia
Ci sono altri italiani che vivono in Asia. Alcuni, come me, si guardano attorno, osservano attenti, tentano di capire, di estrapolare un senso, che può essere sociologico, culturale o storico, ma se non ci si raccapezzano anche soltanto ironico. I loro resoconti - ognuno col suo stile, carattere e taglio - sono una guida alternativa, una bibbia di momenti, un campionario di angoli e una galleria di volti. Mi ripropongo di segnalarli periodicamente.
Pubblico qui sotto il link ad un post del blog di un italiano che vive in Cina. Uno che secondo me ha capito esattamente come va compreso e poi raccontato quel paese: informandosi, leggendo, imparando la lingua, parlando con la gente e con tanta ironia. Senza di quella uno è spacciato, pronto per un volo diretto ovunque - purché parta dal terminal degli internazionali -, per il reparto psichiatrico o per una serie di guai. La Cina va presa con filosofia, aggiornando ogni sera l'almanacco degli aneddoti.
Pubblico qui sotto il link ad un post del blog di un italiano che vive in Cina. Uno che secondo me ha capito esattamente come va compreso e poi raccontato quel paese: informandosi, leggendo, imparando la lingua, parlando con la gente e con tanta ironia. Senza di quella uno è spacciato, pronto per un volo diretto ovunque - purché parta dal terminal degli internazionali -, per il reparto psichiatrico o per una serie di guai. La Cina va presa con filosofia, aggiornando ogni sera l'almanacco degli aneddoti.
venerdì 11 dicembre 2009
Natale tropicale atto II: Tradizione e moda - Bangkok, Thailandia
I centri commerciali hanno installato gli alberi. Plastica su acciaio, e un'idea di abete. A migliaia si aggirano in questi boschi fittizi: macchine compatte, reflex, treppiedi. Domani aprite Facebook e digitate "Bangkok". Centinaia di profili, pagine di foto: truppe di thailandesi, expat e turisti, sorridenti, pensierosi, o addirittura annoiati, in posa dinamica davanti ai coni di fuffa.
Poco più in là però c'è un angolo intoccato, i santuari di Buddha e del dio Ganesh. I fedeli a strati accendono l'incenso, congiungono i palmi, meditano, pregano, dopo qualche minuto aprono gli occhi e se ne vanno. A pochi metri di distanza due rituali di massa. Sono sequenze ripetute, imitate, all'infinito. Ma non ci si può ingannare, una differenza li separa: la differenza che passa fra tradizione e moda.
Foto: famiglia con giocattoli davanti all'albero di Natale, Griffith & Griffith, Filadelfia, 1897.
Poco più in là però c'è un angolo intoccato, i santuari di Buddha e del dio Ganesh. I fedeli a strati accendono l'incenso, congiungono i palmi, meditano, pregano, dopo qualche minuto aprono gli occhi e se ne vanno. A pochi metri di distanza due rituali di massa. Sono sequenze ripetute, imitate, all'infinito. Ma non ci si può ingannare, una differenza li separa: la differenza che passa fra tradizione e moda.
Foto: famiglia con giocattoli davanti all'albero di Natale, Griffith & Griffith, Filadelfia, 1897.
giovedì 10 dicembre 2009
Da sfigato a figo - Bangkok, Thailandia
I dentisti thailandesi ci hanno visto dentro. Hanno convinto la gente che l'apparecchio è figo. Le ragazze lo sfoggiano come un accessorio alla moda, da abbinare agli orecchini o alle lenti colorate. Se la dentatura è complessa è uno strumento correttivo, altrimenti lo si porta per esaltare il sorriso. C'è pure chi ne ha comprato uno finto al mercato, ma le autorità si sono opposte per motivi di sicurezza. Ad ogni visita di controllo si può cambiare il colore, filo rosa, azzurro, verde, fucsia. Se alle ragazze vanitose aggiungiamo qualche gay, il bacino di clienti è davvero notevole. E i dentisti felici continuano a installare.
Foto di Jason Regan (CC attribution 2.0), da Wikipedia.
mercoledì 9 dicembre 2009
Natale tropicale atto I: Natale spaesato - Bangkok, Thailandia
È di nuovo inverno, dicembre, Natale. L'atmosfera ci avvolge con luci e festoni, le musichette di rito, la neve finta sui vetri. Ragazze in minigonna con cappelli di feltro distribuiscono i volantini di una nuova discoteca, mentre nel ristorante le note di White Christmas si intrecciano col soffio dell'aria climatizzata. Un Babbo Natale suona un campanaccio per attirare clienti in un supermercato. Si ferma un attimo, poggia la campana, alza la barba e si asciuga il sudore. Il Natale ai tropici sembra spaesato, confuso tra lingue e riti diversi; e tu fendi l'afa cercando l'ombra, tra turisti in ciabatte e occhiali da sole.
Immagine: "Merry Old Santa Claus" di Thomas Nast, illustrazione dell'Harpers weekly, 1 gennaio 1881
Immagine: "Merry Old Santa Claus" di Thomas Nast, illustrazione dell'Harpers weekly, 1 gennaio 1881
lunedì 7 dicembre 2009
Un'indagine originale! - Bangkok, Thailandia
In seguito ad un picco di infezioni di HIV - specialmente tra la comunità dei maschi omosessuali - il governo thailandese ha deciso di lanciare una iniziativa coraggiosa e a dir poco originale. Parte dei 200 milioni di baht stanziati per la campagna anti-HIV saranno utilizzati per distribuire profilattici e...uno strumento per la misurazione della dimensione del pene, allo scopo di facilitare la scelta della taglia!
Il problema è serio e urgono soluzioni, ma evidentemente le buone idee non arrivano in massa...
Foto da "The Nation"
Italiani in Asia: certi momenti si raccontano così - Hong Kong
Ci sono altri italiani che vivono in Asia. Alcuni, come me, si guardano attorno, osservano attenti, tentano di capire, di estrapolare un senso, che può essere sociologico, culturale o storico, ma se non ci si raccapezzano anche soltanto ironico. I loro resoconti - ognuno col suo stile, sensibilità ai temi, carattere e taglio - sono una guida alternativa, una bibbia di momenti, un campionario di angoli e una galleria di volti. Mi ripropongo di segnalarli periodicamente.
Riporto qui il link ad un post tratto dal blog di un dottorando italiano che vive a Hong Kong. Credo che in questo come in altri suoi pezzi abbia azzeccato la descrizione, il racconto o la trasmissione di alcuni stati d'animo di un occidentale in oriente. Lo leggo, sorrido, rifletto e sento. E in fin dei conti non è cosa da poco.
Riporto qui il link ad un post tratto dal blog di un dottorando italiano che vive a Hong Kong. Credo che in questo come in altri suoi pezzi abbia azzeccato la descrizione, il racconto o la trasmissione di alcuni stati d'animo di un occidentale in oriente. Lo leggo, sorrido, rifletto e sento. E in fin dei conti non è cosa da poco.
Esercizio di meditazione con rare beef noodles, da "Cuore, cervello e altre frattaglie"
Foto di tizi che meditano in mezzo al niente (CC) by Gurumustuk Singh
Foto di tizi che meditano in mezzo al niente (CC) by Gurumustuk Singh
mercoledì 2 dicembre 2009
Come polli in batteria - Da Siem Reap al confine, Cambogia
(Primavera 2002)
Dai, dai! Non c'è tempo da perdere, sarà un viaggio infinito, un giorno doppio, al solo pensarci mi viene l'ernia al disco. Mi devo sbrigare, senza cincischiare. La scaletta, seguila, l'hai preparata ieri notte, quando l'afa e le zanzare non ti facevano dormire. Ingolla il pancake, trangugia il te, paga la stamberga e rotola giù dalle scale. Il mototaxi, il motorino, dove sono i ragazzini? Ce n'era sempre un vespaio quando non mi servivano! Eccone uno che ha adocchiato il pollo, mi viene incontro per tirarmi il collo.
Dai, dai! Non c'è tempo da perdere, sarà un viaggio infinito, un giorno doppio, al solo pensarci mi viene l'ernia al disco. Mi devo sbrigare, senza cincischiare. La scaletta, seguila, l'hai preparata ieri notte, quando l'afa e le zanzare non ti facevano dormire. Ingolla il pancake, trangugia il te, paga la stamberga e rotola giù dalle scale. Il mototaxi, il motorino, dove sono i ragazzini? Ce n'era sempre un vespaio quando non mi servivano! Eccone uno che ha adocchiato il pollo, mi viene incontro per tirarmi il collo.
"Serve una moto? I templi di Angkor, Sir?" Ma quale Angkor, quali templi, sono arrivato a Siem Riep una settimana fa, li ho consumati più io che i secoli e la giungla..."All'incrocio principale, dove partono i pick-up." Mi guarda inespressivo come un sonnambulo o un koala. I koala sono dotati di sole due espressioni: la mastica-eucalipto e la deglutisci-eucalipto, in entrambi i casi sembra che il sonno li stronchi. Ma come diavolo si dirà incrocio principale? La padrona dell'albergo, lei mi può aiutare. "Signora, hei! Signora, quaggiù! Mi faccia un piacere, glielo spieghi in cambogiano." La signora fa uscire cinque schiocchi dalla gola, sembra quasi che spezzi dei rami con la bocca. Il koala-mototaxi assume l'altra espressione, il suo secondo modo di sembrare inebetito. Fa un cenno con la testa, abbassa il mento di un centimetro, vorrà dire sì ho capito? O ha deglutito l'eucalipto? Non ho tempo, mi butto, salgo in sella al motorino. Accelera, parte, e vai, ha capito! Arriviamo all'incrocio, so che è quello giusto, ci saranno perlomeno un centinaio di pick-up. Quale sarà il mio? Ma chi parla l'inglese? Questo non è certo un luogo per turisti, quelli se ne vanno col pulmino pseudo-comfort, io sono arrivato tardi, posti già esauriti.
martedì 1 dicembre 2009
Pregando i robot - Bangkok, Thailandia
Percorro il marciapiedi e con la coda dell'occhio percepisco distrattamente la vita al bordo della strada. Parrucchiera, 7/11, bancarella, estetista. La sera thailandese mi scorre attorno, tra profumi, attività, confusione e gente. È il rumore di fondo, l'ambientazione a margine: mi sfiora gentilmente solleticando i sensi, stimolando piacere senza farsi notare.
Dietro una vetrina una signora prega, rilassata e immobile in un devoto wai. I palmi giunti, il capo chino, gli occhi chiusi ed un mantra in mente. Il mio sguardo scende verso il luogo sacro, aspettandosi di poggiarsi su una ghirlanda gialla, un tempio rosso-oro, statuette di Buddha. La sequenza delle mie mosse si svolge in background, non è un pensiero attivo ciò che la comanda, ma un riflesso, un istinto, una serie di immagini, già impresse nella memoria, che cercano conferme. Ogni oggetto, profumo, colore o suono, trova il suo posto in un armonia dimensionale. Se nulla stona la mia trance prosegue, il passo costante e lo sguardo mobile.
Ad un tratto rientro in possesso attivo dei miei sensi, è qualcosa che ho visto, che non mi aspettavo. Non mi sto sbagliando, non c'è alcun equivoco: la donna sta rivolta verso un angolo del negozio, davanti a lei c'è soltanto un tavolino e sopra il tavolino ciò che mi ha bloccato: sistemati con ordine, schierati in file e colonne, dei robot giocattolo di plastica colorata. Un plotone di Gundam o di mostri di Vega, ritti sull'attenti, di fronte alla donna che prega.
Quando credi ormai di esserti abituato, di essere in sintonia con ciò che ti sta attorno, di riuscire a dare un senso anche se non afferri l'essenza, ti ritrovi confuso in mezzo al marciapiedi ad osservare una signora che in devota preghiera si rivolge ad una truppa di eroi della tua infanzia.
E hai la vaga sensazione di cominciare daccapo.
Foto di Fabio Pulito
Dietro una vetrina una signora prega, rilassata e immobile in un devoto wai. I palmi giunti, il capo chino, gli occhi chiusi ed un mantra in mente. Il mio sguardo scende verso il luogo sacro, aspettandosi di poggiarsi su una ghirlanda gialla, un tempio rosso-oro, statuette di Buddha. La sequenza delle mie mosse si svolge in background, non è un pensiero attivo ciò che la comanda, ma un riflesso, un istinto, una serie di immagini, già impresse nella memoria, che cercano conferme. Ogni oggetto, profumo, colore o suono, trova il suo posto in un armonia dimensionale. Se nulla stona la mia trance prosegue, il passo costante e lo sguardo mobile.
Ad un tratto rientro in possesso attivo dei miei sensi, è qualcosa che ho visto, che non mi aspettavo. Non mi sto sbagliando, non c'è alcun equivoco: la donna sta rivolta verso un angolo del negozio, davanti a lei c'è soltanto un tavolino e sopra il tavolino ciò che mi ha bloccato: sistemati con ordine, schierati in file e colonne, dei robot giocattolo di plastica colorata. Un plotone di Gundam o di mostri di Vega, ritti sull'attenti, di fronte alla donna che prega.
Quando credi ormai di esserti abituato, di essere in sintonia con ciò che ti sta attorno, di riuscire a dare un senso anche se non afferri l'essenza, ti ritrovi confuso in mezzo al marciapiedi ad osservare una signora che in devota preghiera si rivolge ad una truppa di eroi della tua infanzia.
E hai la vaga sensazione di cominciare daccapo.
Foto di Fabio Pulito
sabato 28 novembre 2009
The survivors - Bangkok, Thailandia
Survivors. In inglese significa sopravvissuto, o chi sopravvive, sopravvivente. La scelta del nome la devo a qualcun altro ma sono anni che le noto, le osservo, le studio. Ho visto gente che campa nelle periferie cinesi, o che vegeta tra l'immondizia nelle strade dell'India, poveri in Cambogia, criminali in Brasile, ma la maggior parte delle survivors sopravvive in Thailandia. Vivono al limite, camminano con eleganza su una linea che scorre alta, tra lusso e povertà. Non hanno un lavoro ma fanno di tutto, sfuggono le categorie prendendo a prestito qua e là. Sono orgogliose e dignitose, hanno rispetto per se stesse, hanno una reputazione e non fanno cazzate. Tutto è calcolato, profitable, appropriato. Può capitare che estorcano denaro a qualche uomo, ma anche quando dormono con uno che non amano, la persona e il posto sono scelti con cura. Non puoi chiamarle puttane, non sarebbe giusto, non lo fai con le donne che fanno lo stesso in occidente. Aiutano un uomo d'affari a trovare clienti, o un agente a chiudere una trattativa difficile, danno una mano agli amici quando il lavoro è troppo. Le guardi affascinato, sembrano così forti, hanno un obiettivo e le idee sempre chiare. Sanno ciò che vogliono e come ottenerlo, si vestono con stile e quel loro sguardo...
Ma non devi dimenticare che sono solo ragazze, a volte si incasinano, fanno qualche sbaglio e tutto ad un tratto sono così fragili. Non devi sorprenderti se vengono a cercarti. Sanno leggere la gente e l'hanno fatto anche con te. Non vogliono il tuo denaro, non saresti il tipo giusto. Sono sicure, socievoli e il mondo ruota attorno a loro, ma a volte, nel loro intimo, si sentono sole e vogliono stringersi a uno come te. Mi hai sentito bene, ho detto uno come te.
Foto "Woman's curls" di Nishan, da Allposters.com
Foto "Woman's curls" di Nishan, da Allposters.com
giovedì 26 novembre 2009
Si è arresa... - Bangkok, Thailand
"Quando ci stai provando può essere frustrante ma poi, all'improvviso, succede qualcosa..." Questo mi hanno detto quando ho deciso di conquistarla. Ed oggi infatti...è successo qualcosa. Non so come spiegare, non so se stia funzionando, ma sento che sto andando nella direzione giusta.
È come se a sorpresa avesse ceduto alla mia corte cominciando a sentire che le piaccio un po'. Lei mi ha catturato fin dal primo momento. Certo, era una presenza po' ingombrante e mi faceva sentire goffo, ma ero affascinato. Lei, beh, non era reciproco. Anzi direi che persino mi odiava: mi affettava i polpastrelli, mi segava le gambe, picchiava contro le pareti e i mobili della casa, lanciando delle urla penetranti e fastidiose con il chiaro intento di mettermi contro i vicini. Ma alla fine si è arresa. Dopo giorni di lotta ha gettato la spugna e ha detto: "Va bene, io continuo ad umiliarti ma tu ogni volta ricominci. Non mi fraintendere, fai veramente schifo. E il modo in cui mi usi,se possibile, è anche peggio. Ma sei cocciuto e non posso fermarti, dammi la mano e vai pure avanti, non cercherò più di opporre resistenza".
La mano gliel'ho data, anzi gliene ho date due. Ora se la tocco non mi distrugge le dita e mi sento più a mio agio quando sto con lei. Io non mi arrendo e tiro avanti spedito, continuo a provare a suonare questa chitarra. Vi chiedo scusa se abitate a fianco.
Foto "Guitar girl", da Allposters.com
Foto "Guitar girl", da Allposters.com
Il mio spirito custode - Bangkok, Thailandia
Una ragazza con cui uscivo, una mattina al risveglio, mi disse che nella mia stanza viveva un fantasma. Le era apparso in un sogno e indossava il tipico lenzuolo. Non era esattamente un'apparizione spaventosa: una versione asiatica dello spiritello Casper.
Le si è avvicinato, galleggiando a mezz'aria, e con fare cortese le ha chiesto chi era. Quando ha risposto che era soltanto un'amica lui ha annuito, le ha dato il benvenuto, l'ha invitata a tornare e poi è scomparso.
I thailandesi credono nei fantasmi e negli spiriti, ne sono spaventati e affascinati al tempo stesso, ne parlano spesso, ci fanno dei film. La cultura dei fantasmi è articolata e interessante.
Quando vai in un ristorante, un'abitazione, un ospedale ai confini del complesso noterai un piccolo santuario, un tempietto, una casetta in cima a un piedistallo. Sulla veranda della casa bibite gassate, frutta, riso, fiori e incenso. I thailandesi credono che degli spiriti custodi si aggirino nei dintorni della loro proprietà: se ne prendono cura, per rispetto e per timore.
Ho detto alla ragazza che ho parlato con lo spirito, spiegandogli che in effetti eravamo amici. Sorprendentemente non stavo scherzando: nel modo di uno che viene da lontano, con origini cristiane mischiate a socialismo, scetticismo razionale, materialismo storico, liberalismo, romanticismo, eccetera eccetera, senza la minima idea di come approcciare un fantasma, in colpevole segreto e fretta imbarazzata, avevo davvero parlato col fantasma! Lei mi ha ringraziato, senza occhiate di scherno.
Non credo ai fantasmi ma qualcuno mi ha detto che ce n'è uno che vive nel mio appartamento. Potrei sbagliarmi, magari esistono davvero: per questo forse metterò dell'acqua a fianco al letto.
Immagine "Amleto e il fantasma di suo padre" di J.H. Fussli, 1780-1785, da Wikipedia.org
Le si è avvicinato, galleggiando a mezz'aria, e con fare cortese le ha chiesto chi era. Quando ha risposto che era soltanto un'amica lui ha annuito, le ha dato il benvenuto, l'ha invitata a tornare e poi è scomparso.
I thailandesi credono nei fantasmi e negli spiriti, ne sono spaventati e affascinati al tempo stesso, ne parlano spesso, ci fanno dei film. La cultura dei fantasmi è articolata e interessante.
Quando vai in un ristorante, un'abitazione, un ospedale ai confini del complesso noterai un piccolo santuario, un tempietto, una casetta in cima a un piedistallo. Sulla veranda della casa bibite gassate, frutta, riso, fiori e incenso. I thailandesi credono che degli spiriti custodi si aggirino nei dintorni della loro proprietà: se ne prendono cura, per rispetto e per timore.
Ho detto alla ragazza che ho parlato con lo spirito, spiegandogli che in effetti eravamo amici. Sorprendentemente non stavo scherzando: nel modo di uno che viene da lontano, con origini cristiane mischiate a socialismo, scetticismo razionale, materialismo storico, liberalismo, romanticismo, eccetera eccetera, senza la minima idea di come approcciare un fantasma, in colpevole segreto e fretta imbarazzata, avevo davvero parlato col fantasma! Lei mi ha ringraziato, senza occhiate di scherno.
Non credo ai fantasmi ma qualcuno mi ha detto che ce n'è uno che vive nel mio appartamento. Potrei sbagliarmi, magari esistono davvero: per questo forse metterò dell'acqua a fianco al letto.
Immagine "Amleto e il fantasma di suo padre" di J.H. Fussli, 1780-1785, da Wikipedia.org
mercoledì 25 novembre 2009
Quel secondo boccone - Bangkok, Thailand
Sei con un amico, è appena arrivato in Thailandia. Lo porti al ristorante e ordini Som Tam (*). Chiedi al cameriere di farla mai pet (**). Quando arriva la assaggi per primo perché vuoi dire al tuo amico se è piccante o no. Sembra saporita, così fresca e croccante. Aspetta! Non lo fare, non gli dire che "va bene", come se non conoscessi i probabili sviluppi. Attendi un po' e mangia un altro boccone. Le restanti fettine di papaya verde potrebbero essere state soggette a combustione spontanea. La salivazione precipita, il tuo volto è una rapa e la forchetta flotta tra il piatto e il tuo naso. Non pensare male, hanno capito cos'hai ordinato, il problema è che non hanno lavato il mortaio. E se questo è un autentico ristorante Isan (***), il cliente precedente ha chiesto trenta peperoni.
(*) Som tam (ส้มตำ): insalata di papaia acerba. Ne esistono molte varietà.
(*) Som tam (ส้มตำ): insalata di papaia acerba. Ne esistono molte varietà.
(**) Mai pet (ไม่เผ็ด): non piccante. Ciò che i thailandesi considerano "non piccante" potrebbe essere carbone ardente per un occidentale. Se stiamo parlando delle province nord-orientali potrebbe essere anche molto peggio. Se volete che il vostro cibo non sia piccante dovete ordinarlo mai pet lei (ไม่เผ็ดเลย), che significa "per niente piccate", oppure mai sai prik (ไม่ใส่พริก), che significa "non ci mettete peperoncino". Possono sembrarvi sfumature linguistiche, ma sono autentici gradienti di temperatura.
(***) Isan (อีสาน): regione del nord est, culturalmente affine al Laos.Foto di Fabio Pulito
Due libri - Bangkok, Thailandia
Di solito le mie letture le porto avanti in serie. Quando finisco un libro ne scelgo un altro. Ma questa volta, per motivi vari, ho cominciato due volumi e non riesco a metterne uno da parte. Le storie sono belle ma ciò che mi ha catturato è piuttosto il modo in cui sono scritte. Il problema ora è: come organizzarsi? Uno per la notte e uno per il giorno? A seconda dell'umore? A giorni alterni? La soluzione che ho adottato me l'hanno suggerita i libri stessi. In quanto a dimensioni, "Underworld" di Don De Lillo è grande il doppio di "Tropic of Capricorn". Quindi quando esco, per la metropolitana o il caffè, metto Henry Miller nella tasca della borsa. Quando sono a casa, dove l'ingombro non conta, mi siedo sul divano e leggo Delillo.
Foto Henry Miller (GNU, CC), da wikipedia.org
Foto Henry Miller (GNU, CC), da wikipedia.org
lunedì 23 novembre 2009
L'ultimo legame - Bangkok, Thailandia
Ci sono delle notti in cui addormentarsi è un delitto. Magari è un libro che hai appena finito, oppure una serata, una relazione o un incontro. Hai la sensazione che col sonno e la chiusura del giorno se ne andrà il legame tra te e quell'esperienza. E l'ultima cosa che ti senti di fare è tagliare il vincolo utilizzando un sogno.
(Immagine: Le Rêve, Pablo Picasso. 1932)
(Immagine: Le Rêve, Pablo Picasso. 1932)
Allacciamo quel casco! - Chiang Mai, Thailand
(Estate 2005)
È verde, accelero e mi infilo tra le auto. Passato l'incrocio noto qualcosa a sinistra: figure in movimento formano un mucchio fluido, da cui si stacca un poliziotto che sorridendo mi dà l'alt. Do un altro giro di polso ma in senso contrario, parcheggio il motorino e mi preparo alla scenetta.
È verde, accelero e mi infilo tra le auto. Passato l'incrocio noto qualcosa a sinistra: figure in movimento formano un mucchio fluido, da cui si stacca un poliziotto che sorridendo mi dà l'alt. Do un altro giro di polso ma in senso contrario, parcheggio il motorino e mi preparo alla scenetta.
L'agente pacioccone continua a sorridere, mi chiede la patente e poi indica il casco. Mentre penso che ha ragione osservo il traffico che scorre: una marea di motorini trasportano sacchi di granaglie, elettrodomestici, cani, gatti, polli, intere famiglie, inclusi nonni e marmocchi, con le chiome corvine che turbinano al vento. Hanno tutti un casco, ben assicurato al manubrio, oppure ad un gancetto che sta sotto la sella.
Sorrido pure io mentre annuendo l'ascolto: "Devi andare in stazione e pagare cinquecento baht, ci porti la ricevuta e ti ridiamo il mezzo". Dovrei prendere un taxi per andare a pagare, poi prenderne un altro per tornare al posto di blocco. "Devo restituire la moto al negozio del noleggio, non ho molto tempo, potrei pagare qui?". Il poliziotto ridacchia, fa il finto imbarazzato e dopo cinque secondi mi chiede duecento baht. "Facciamo cento e non ne parliamo più?" Ride di nuovo, si guarda attorno, intasca la banconota e mi fa pure un predicozzo: "La prossima volta, allacciamo quel casco!"
Foto di Fabio Pulito
Foto di Fabio Pulito
mercoledì 18 novembre 2009
Speculazioni di una notte troppo lunga - Bangkok, Thailandia
Cambia posizione per la centesima volta. La testa sprofonda di nuovo nel cuscino ma un occhio fissa sempre quella chitarra nell'angolo. Ha letto, ha scritto, ha navigato e suonato. Un triathlon tra pagine, schermate e accordi. Poi ha messo via tutto: si è lavato i denti, ha fatto le flessioni e si è infilato a letto. Con le guance tese ha letto l'ultimo capitolo, poi pensando che fosse tutta colpa degli ormoni ha preso le salviette e ha fatto un altro esercizio. Ma è ancora lì, con gli occhi strabuzzati, solo una parte del suo corpo si è finalmente addormentata.
La chitarra lo chiama e lui non risponde, ma è come cercare di dormire in un'acciaieria. Poggia il libro e afferra lo strumento. Accende il portatile e trova gli esercizi, prova due o tre accordi ma senza suonarli. Poi guarda l'orologio: ormai è mattina, l'obbligo del silenzio non vige più. La chiamano insonnia, ma lui è solo sfasato: quando gli altri sgambettano si addormenterà. E mentre i pensieri si scontrano tra i lobi trova il primo accordo di How do you sleep di John Lennon.
(Immagine "L'Insonnia, Tacuinum sanitatis casanatensis", XIV secolo, da wikipedia.org)
(Immagine "L'Insonnia, Tacuinum sanitatis casanatensis", XIV secolo, da wikipedia.org)
La valvola di sfogo, violenza thailandese - Bangkok, Thailandia
Dal tavolo accanto arrivano suoni familiari. Mi eclisso, origlio, non mi sbagliavo: i due ragazzi si rivolgono alle ragazze in inglese, ma tra loro usano l'italiano e...il dialetto veneto! Farciscono le battute con bestemmie e oscenità e più di qualche volta offendono i clienti.
C'è molta confusione e non ho intuito se alcuni dei commenti erano diretti a noi. Per evitare malintesi scherzo in italiano. Uno dei due mi guarda inebetito e all'inizio ho l'impressione che non abbia capito. Poi però reagisce e comincia a parlarmi, ma è ubriaco fradicio e si mangia le parole. Tra un singhiozzo e un'eresia metto assieme il puzzle: è convinto che non essendo veneto io non possa intendere le sfumature culturali della loro conversazione. Per dimostrare che si sbaglia gli parlo in dialetto. Gli ci vuole un po' per realizzare ma quando lo fa mi guarda stupito, poi si alza in piedi, mi stringe la mano, mi fa i complimenti e mi allunga un bicchiere.
C'è molta confusione e non ho intuito se alcuni dei commenti erano diretti a noi. Per evitare malintesi scherzo in italiano. Uno dei due mi guarda inebetito e all'inizio ho l'impressione che non abbia capito. Poi però reagisce e comincia a parlarmi, ma è ubriaco fradicio e si mangia le parole. Tra un singhiozzo e un'eresia metto assieme il puzzle: è convinto che non essendo veneto io non possa intendere le sfumature culturali della loro conversazione. Per dimostrare che si sbaglia gli parlo in dialetto. Gli ci vuole un po' per realizzare ma quando lo fa mi guarda stupito, poi si alza in piedi, mi stringe la mano, mi fa i complimenti e mi allunga un bicchiere.
domenica 15 novembre 2009
Pasticcio diplomatico - Bangkok, Thailandia
Sembrava che le acque si fossero calmate. Che i disordini di Bangkok scoppiati alcuni mesi fa fossero soltanto un brutto ricordo. E invece la disputa tra thailandesi e cambogiani sul tempio conteso di Preah Vihear, problema fino ad ora totalmente distinto, ha finito a sorpresa per ravvivare le polemiche. Attraverso l'Interpol la Thailandia ha emesso un mandato di cattura nei confronti dell'ex premier Thaksin Shinawatra. E quale è stata la contromossa di quest'ultimo? Si è fatto nominare consigliere per l'economia del governo cambogiano presieduto da Hun Sen.
A peggiorare il clima è spuntata un'intervista pubblicata di recente dal quotidiano "The Times". Secondo molti in Thailandia l'articolo conterrebbe frasi offensive nei confronti della monarchia. Thaksin sostiene che le sue dichiarazioni sono state distorte e respinge le accuse. Ora sia Thaksin che il governo thailandese chiedono spiegazioni alla redazione del quotidiano.
venerdì 13 novembre 2009
Malesia: una società complessa - Kuala Lumpur, Malesia
Dai miei polpastrelli sale ancora al naso l'aroma speziato del cibo Tamil. Sulla via del ritorno passeggiamo sulla strada: il marciapiedi è ricoperto dai tappeti dei musulmani accorsi alla moschea per la preghiera del venerdì. Prima di arrivare al centro di formazione attraversiamo il piazzale della Bank of China. La Malesia è tutto questo: un paese complesso, figlio di coloni, immigrati e mercanti. Basta una passeggiata di pochi minuti per attraversare India, Indonesia e Cina: comunità che vivono senza integrarsi, saldamente aggrappate ai propri costumi.
Foto di Fabio Pulito
Foto di Fabio Pulito
giovedì 12 novembre 2009
Viagra precoce - Bangkok, Thailandia
Afferra il pacchetto, estrae cinque sigarette, ne distribuisce quattro e una se l'accende. Poi alza il bicchiere, ma qualcosa non va, ci dà un'occhiata e vede i resti del giaccio. Si concentra sulle bottiglie e si prepara un altro drink. Ride, scherza, beve, fuma. Adocchia una ragazza con cui ci proverà. Il ragazzo europeo è a Bangkok per uno stage. Ma i due mesi di tirocinio più che nella finanza, lo hanno gettato nel pantano delle notti decadenti.
Nei giorni feriali fa fuori litri di birra, mentre il fine settimana son bottiglie di whisky. Si riduce a uno straccio, dimentica che sta facendo, telefona a caso e cammina barcollando. Ma se incontra una ragazza e capisce che ci sta, non si tira indietro e si aggrappa al Viagra. Bello, alto, tirocinio all'estero: proviene da una delle regioni più ricche del mondo e un domani potrebbe essere una persona di successo. Ma si sbronza ogni giorno e usa già il Viagra.
Ha ventiquattro anni, che farà da vecchio? Comunque vada sarà in buona compagnia: ne ho già incontrati tanti di tipi come lui.
mercoledì 11 novembre 2009
La spolverata di pepe - Bangkok, Thailandia
Al ristorante italiano, da qualche parte all'estero.
Il cameriere arriva con i piatti che ho ordinato. Mi preparo alla sfida puntando la forchetta, quando lo vedo tornare con un arnese di legno. "Some pepper, Sir?" Osservo attentamente quell'oggetto scuro: quello che all'inizio mi era sembrato un palo, era in realtà un macinapepe lungo mezzo metro! Non ho fatto in tempo a rifiutare l'offerta: osservo il cameriere che ruota con ardore mentre una coltre speziata cala sul mio piatto. Alla fine il pepe mi piace abbastanza, non mi faccio problemi e inforco la pasta.
La spolverata di pepe è come il garlic bread: qualcuno ha detto in giro che per gli italiani è un must. Osservo il cameriere che si aggira con l'attrezzo. Lo brandisce con una mano pressapoco al centro, mentre con l'altra all'estremità sta pronto a ruotare. Offre ad ogni commensale due o tre giri di pomello.
Raggiunge il tavolo di un signore romano, che ascolta l'offerta e poi scuote la testa. Quando il cameriere è lontano lui dà sfogo al suo orgoglio: "Ab-bello, che stai a fa'? Ma porta via quer pepe: sui bucatini all'amatriciana ce se gratta er PE-CO-RI-NO!"
Il cameriere arriva con i piatti che ho ordinato. Mi preparo alla sfida puntando la forchetta, quando lo vedo tornare con un arnese di legno. "Some pepper, Sir?" Osservo attentamente quell'oggetto scuro: quello che all'inizio mi era sembrato un palo, era in realtà un macinapepe lungo mezzo metro! Non ho fatto in tempo a rifiutare l'offerta: osservo il cameriere che ruota con ardore mentre una coltre speziata cala sul mio piatto. Alla fine il pepe mi piace abbastanza, non mi faccio problemi e inforco la pasta.
La spolverata di pepe è come il garlic bread: qualcuno ha detto in giro che per gli italiani è un must. Osservo il cameriere che si aggira con l'attrezzo. Lo brandisce con una mano pressapoco al centro, mentre con l'altra all'estremità sta pronto a ruotare. Offre ad ogni commensale due o tre giri di pomello.
Raggiunge il tavolo di un signore romano, che ascolta l'offerta e poi scuote la testa. Quando il cameriere è lontano lui dà sfogo al suo orgoglio: "Ab-bello, che stai a fa'? Ma porta via quer pepe: sui bucatini all'amatriciana ce se gratta er PE-CO-RI-NO!"
martedì 10 novembre 2009
Milioni! - Kuala Lumpur, Malesia
Sono già alcuni giorni che ho lasciato Kuala Lumpur, ma c'è una frase di Vijay che mi ronza ancora in testa: “Questi malesiani parlano sempre di milioni. Prendi diecimila e li investi in quel progetto: in un battibaleno hai fatto i milioni. Milioni di ringgit, milioni di dollari. Ma se non guadagnano nemmeno i primi centomila!”
Foto di Fabio Pulito
domenica 8 novembre 2009
Una scena pietosa al banco degli insetti - Bangkok, Thailandia
Passeggio in una strada affollata di turisti. Un crocchio si accalca attorno ad un banchetto. Mi avvicino per vedere di cosa si tratta: sono i soliti gruppetti di nuovi arrivati che fissano sbalorditi degli insetti fritti. Su vassoi separati, impigliati per le zampe, ci sono grilli e cavallette, oltre a scorpioni e larve. Dei giovani cinesi assaggiano un grasshopper: lo reggono per una zampa come se fosse incandescente e lo masticano timorosi, un millimetro alla volta.
All'altro lato del banchetto ci sono degli occidentali. Un ragazzo palestrato si infila in bocca uno scorpione, mentre delle amiche eccitate gli scattano una foto. Con delle smorfie fa capire che lo spuntino gli fa schifo, ma lo fa a brandelli come se fosse un tacchino. Azzanna una chela, la mastica in fretta, poi la manda giù mentre pompa i pettorali. All'inizio l'ambulante sorride divertito, ma l'armonia della scenetta si è quasi esaurita.
I ragazzi occidentali sono ubriachi fradici. Un biondo sconvolto infila la mano nel banchetto, afferra dei grilli e li spinge in bocca al nerboruto. Lui ne mangia uno e poi chiude le labbra ma il biondo non si arrende e gli schiaccia gli altri in faccia. Poi apre il palmo e fa una smorfia di disgusto mentre osserva la poltiglia di zampe, ali e corazze. Quindi senza pensarci li rimette nel vassoio. Il thailandese a questo punto è molto infastidito ma non osa rivolgersi ai turisti occidentali. Li osserva imbarazzato e poi accenna un sorriso che non ha nulla a che fare con il divertimento.
All'altro lato del banchetto ci sono degli occidentali. Un ragazzo palestrato si infila in bocca uno scorpione, mentre delle amiche eccitate gli scattano una foto. Con delle smorfie fa capire che lo spuntino gli fa schifo, ma lo fa a brandelli come se fosse un tacchino. Azzanna una chela, la mastica in fretta, poi la manda giù mentre pompa i pettorali. All'inizio l'ambulante sorride divertito, ma l'armonia della scenetta si è quasi esaurita.
I ragazzi occidentali sono ubriachi fradici. Un biondo sconvolto infila la mano nel banchetto, afferra dei grilli e li spinge in bocca al nerboruto. Lui ne mangia uno e poi chiude le labbra ma il biondo non si arrende e gli schiaccia gli altri in faccia. Poi apre il palmo e fa una smorfia di disgusto mentre osserva la poltiglia di zampe, ali e corazze. Quindi senza pensarci li rimette nel vassoio. Il thailandese a questo punto è molto infastidito ma non osa rivolgersi ai turisti occidentali. Li osserva imbarazzato e poi accenna un sorriso che non ha nulla a che fare con il divertimento.
giovedì 5 novembre 2009
In moschea - Kuala Lumpur, Malesia
Ho visitato i Lake Gardens e il Butterfly park. Ho camminato tutto il pomeriggio, sotto il fardello dell'afa. Al ritorno mi fermo alla Moschea Nazionale, un edificio ultra-moderno dalle linee inusuali. Alcuni anni fa un turista arabo mi sorprese e divertì con un suo commento: “Pur essendo un luogo di culto mi ricorda vagamente una centrale nucleare”
Mi tolgo le scarpe, mi avvio al banco di controllo, indosso una tunica che mi copre fino ai piedi e poi salgo gli scalini che mi portano all'interno. L'ingresso alla sala centrale è riservato ai musulmani ed io mi fermo sull'uscio per scattare delle foto.
Mi raggiunge un elegante signore Malay. Indossa un abito tipico, in tessuto leggero. Lo zucchetto bianco che gli cinge la fronte ne esalta la tonalità calda e scura della pelle. Quando viene a sapere che sono italiano il volto gli si schiude in un sorriso solare. Mi comincia a raccontare di un suo viaggio in Europa. Ricorda di aver attraversato il confine a Trieste e di aver percorso a tappe la costa croata. Di aver poi viaggiato da Dubrovnik a Corfù per imbarcarsi infine in un traghetto per Brindisi.
Mi tolgo le scarpe, mi avvio al banco di controllo, indosso una tunica che mi copre fino ai piedi e poi salgo gli scalini che mi portano all'interno. L'ingresso alla sala centrale è riservato ai musulmani ed io mi fermo sull'uscio per scattare delle foto.
Mi raggiunge un elegante signore Malay. Indossa un abito tipico, in tessuto leggero. Lo zucchetto bianco che gli cinge la fronte ne esalta la tonalità calda e scura della pelle. Quando viene a sapere che sono italiano il volto gli si schiude in un sorriso solare. Mi comincia a raccontare di un suo viaggio in Europa. Ricorda di aver attraversato il confine a Trieste e di aver percorso a tappe la costa croata. Di aver poi viaggiato da Dubrovnik a Corfù per imbarcarsi infine in un traghetto per Brindisi.
lunedì 2 novembre 2009
Garlic...what? Garlic bread! - Kuala Lumpur, Malesia
Chissà chi ha messo in giro la voce che il garlic bread è un piatto tipico della cucina italiana. Nei menu dei ristoranti nostrani all'estero, camuffato da antipasto tra bruschette e insalate, l'intruso è sempre lì, come un uovo di cuculo.
Il pane non si serve e questo impostore, che spesso purtroppo ne è l'unico surrogato, è disponibile soltanto tra le portate à la carte.
Ma le voci calunniose colpiscono un po' ovunque e ogni cultura culinaria ha le sue leggende metropolitane. Chi glielo va a spiegare ai cinesi, per fare un esempio, che il loro dessert più famoso in Italia è il gelato fritto?
(Foto di OMGsplosion, wikipedia.org)
Il pane non si serve e questo impostore, che spesso purtroppo ne è l'unico surrogato, è disponibile soltanto tra le portate à la carte.
Ma le voci calunniose colpiscono un po' ovunque e ogni cultura culinaria ha le sue leggende metropolitane. Chi glielo va a spiegare ai cinesi, per fare un esempio, che il loro dessert più famoso in Italia è il gelato fritto?
(Foto di OMGsplosion, wikipedia.org)
domenica 1 novembre 2009
La membrana semipermeabile - Kuala Lumpur, Malesia
C'è una teoria che ho elaborato un po' di tempo fa: l'atteggiamento della membrana semipermeabile. Per effettuare esperimenti e raccogliere dati non c'è bisogno di imbarcarsi per le isole Galapagos, basta aprire le orecchie quando sediamo al ristorante o togliersi le cuffie se viaggiamo in treno.
In un senso la membrana lascia uscire di tutto: opinioni, punti di vista, convinzioni, attacchi al veleno, dogmi, volgarità, grida e insulti. Nell'altro senso invece non fa entrare nulla.
Persone per cui il confronto non ha alcun valore: esiste solo il conflitto, lo scontro verbale attraverso cui scaricare sull'interlocutore non certo un'idea o una visione da discutere bensì frustrazioni, complessi e delusioni.
Che colpa ne ha quell'altro? Nessuna, ovviamente, se non quella di essere fatto della medesima pasta.
L'atteggiamento della membrana semipermeabile è una patologia che scavalca barriere di ogni tipo, che non conosce differenze di partito o di credo. Si diffonde combinando la velocità di un virus mutato, la presenza sul territorio delle lattine di Coca Cola e l'appeal dell'ultimo prodotto lanciato dalla Apple .
Un fenomeno di una forza talmente dirompente che è forse inutile illudersi di poterlo contrastare.
(Immagine da wikipedia.org)
In un senso la membrana lascia uscire di tutto: opinioni, punti di vista, convinzioni, attacchi al veleno, dogmi, volgarità, grida e insulti. Nell'altro senso invece non fa entrare nulla.
Persone per cui il confronto non ha alcun valore: esiste solo il conflitto, lo scontro verbale attraverso cui scaricare sull'interlocutore non certo un'idea o una visione da discutere bensì frustrazioni, complessi e delusioni.
Che colpa ne ha quell'altro? Nessuna, ovviamente, se non quella di essere fatto della medesima pasta.
L'atteggiamento della membrana semipermeabile è una patologia che scavalca barriere di ogni tipo, che non conosce differenze di partito o di credo. Si diffonde combinando la velocità di un virus mutato, la presenza sul territorio delle lattine di Coca Cola e l'appeal dell'ultimo prodotto lanciato dalla Apple .
Un fenomeno di una forza talmente dirompente che è forse inutile illudersi di poterlo contrastare.
(Immagine da wikipedia.org)
venerdì 30 ottobre 2009
Let's go South Indian! - Kuala Lumpur, Malesia
Incrocio Vijay davanti all'ascensore. Sta andando a Masjid India, al suo ristorante preferito, dove servono autentiche pietanze sud indiane. Vijay è un mio collega al centro di formazione. Viene da una città dell'Andhra Pradesh, sulla costa orientale dell'India del sud. Come molti altri asiatici che mi è capitato di incontrare è conservatore e schizzinoso in tema di cucina.
Io al contrario mangio di tutto, a meno che non sia una schifezza conclamata o una piantagione di peperoncino che si spaccia per minestra. “Can I join you?” gli chiedo. “Of course, Mr Fabio!”. E lo seguo in metropolitana fino a Little India.
Entriamo nel locale e ci laviamo le mani. Bisogna concentrarsi soprattutto sulla destra, quella che si usa per toccare il cibo – la sinistra è utilizzata alcune ore più tardi, durante l'ultima fase del ciclo digestivo. È evidente il motivo per cui non vanno invertite.
Io al contrario mangio di tutto, a meno che non sia una schifezza conclamata o una piantagione di peperoncino che si spaccia per minestra. “Can I join you?” gli chiedo. “Of course, Mr Fabio!”. E lo seguo in metropolitana fino a Little India.
Entriamo nel locale e ci laviamo le mani. Bisogna concentrarsi soprattutto sulla destra, quella che si usa per toccare il cibo – la sinistra è utilizzata alcune ore più tardi, durante l'ultima fase del ciclo digestivo. È evidente il motivo per cui non vanno invertite.