domenica 24 gennaio 2010

In meno di mezz'ora - Kuala Lumpur, Malesia

Arrivato a Chinatown evito Petaling Jaya e cerco un ristorante frequentato da gente del posto. Assomiglia ai posti che bazzicavo in Cina, con l'atmosfera riadattata e l'igiene migliore. Edifici squallidi mi scorrono a lato: un magnete per turisti, due fetide locande, l'occhio che rovista alla ricerca di un riferimento. Arrivo all'incrocio, mi volto confuso, poi il mirino si allinea con una serranda chiusa. Valuto l'eventualità di un cambio di zona, o un'ulteriore perlustrazione delle viuzze del quartiere, ma ho sfidato l'appetito un po' troppo a lungo e mi ritrovo appollaiato su uno sgabello sismico, in uno dei locali che avevo snobbato. La plastica si flette e il mio sedere oscilla mentre mi volto sopraffatto da un monte di rifiuti. Mi alzo inorgoglito, al diavolo la fame, e per fortuna individuo un tavolo in una zona migliore. L'oste è rozzo, un Signor Disgusto, mi strappa l'ordine dall'ugola e se ne va sgraziato. Con bacchettate leste sventro noodles e verdura, cibo blindato, a prova di sofisticazione, arroventato in uno wok proprio di fianco a me. Il Signor Disgusto, tra un ordine e l'altro, si siede ad un banchetto che mi sta davanti. Sfascia a dentate la corazza di un granchio, succhia polpa e saliva, si lecca le dita lerce con cui poco prima mi ha servito posate e cannuccia. Frammenti di carcassa gli pendono dal mento prima di affondare in una cesta di cavoli. Spero - e non ci credo - che siano scarti di cucina. Spingo via i piatti, chiedo il conto al troglodita e col bicchiere in mano capto scene disgiunte. Arriva un garzone con una bacinella e la svuota nella cesta delle posate pulite. Un cucchiaio urta il bordo e cade sul marciapiedi. Il garzone lo raccoglie, ci giochicchia mentre chiacchiera e prima di andarsene, con un colpo di polso, lo fa cadere con un tintinnio all'interno del cesto. 
Brutta cosa la fame, che non ti fa ragionare. Eseguo a spanne un giochetto statistico: tutto questo l'ho visto in meno di mezzora...

Foto di Fabio Pulito

giovedì 21 gennaio 2010

Una svolta all'umore di un giorno - Vientiane, Laos

Alzo gli occhi dalla pagina e mi concentro su un periodo, a volte Henry Miller è davvero psichedelico. Allungo il collo a giraffa e mordo la cannuccia, poi aspiro un sorso del miglior frullato in città. Osservo la strada dove passa un autobus: l'ultimo finestrino incornicia un volto. Un tondo pacioccone, la testa pelata, solo una spalla è coperta dalla tunica arancione: è un novizio buddista, un monaco bambino. Mani piccole stringono il bordo del vetro e gli occhi sgranati fissano me o tutto il mondo. Non lo posso fotografare ma lo inchiodo alla mente. Anni di viaggio in paesi così tra le varie cose mi hanno insegnato anche questo: basta rilassarsi un attimo ed aguzzare i sensi per dare una svolta all'umore di un giorno.

Foto di un giovane monaco in un tempio di Chiang Mai, di Fabio Pulito

Architettura urbana? - Kuala Lumpur, Malesia

Passeggiare a Kuala Lumpur è un affare serio. I marciapiedi sono bastioni alti quasi mezzo metro e ad ogni incrocio o cancello bisogna scalarne uno. Le radici dei banyan formano dossi spigolosi; pali, alberi, tettoie e mezzi trasformano il percorso in una pista da slalom. Se poi è piovuto, e capita spesso, le mattonelle labili sputano liquame sui passanti. Uno studente inglese di sangue pachistano mima le prodezze di un pedone in città: le mosse sono quelle di uno sketch dei Monty Python. 
Da noi la chiamano architettura urbana, a Kuala Lumpur è più che altro una specie di gimcana.

Fotogramma da "The Ministry of silly walks", dei Monty Python, from wikipedia.org

Le scope - Kuala Lumpur, Malesia

Uno spazzino indiano pulisce il marciapiedi. Dal bidone spunta una serie di scope: le spazzole di ramaglie puntano verso l'alto e i manici sono piantati nello strato di rifiuti. Cerco con lo sguardo le mani dello spazzino. Che illuso sono a volte, mi dimentico dove sono: per un attimo avevo pensato che indossasse dei guanti...

Foto di uno spazzino afgano, da AllPosters.com

Itamil (non è una medicina) - Bangkok, Thailandia

Una notte a Bangkok incontro D. Se chiudi gli occhi mentre lo ascolti dopo cinque secondi sai già che è emiliano. "Sono nato a Reggio ma sono bolognese..." Piccolo, minuto, la chioma nera che ondeggia. Sotto la pelle scura scorre sangue tamil, i lineamenti indiani seguono una variante del sud. Dopo aver detto a me di essere bolognese, confessa a degli inglesi di non essere italiano. "Se hai un genitore italiano o sei stato adottato ottenere la cittadinanza è una formalità. Ma chi, come me, ha la famiglia straniera può provarci per anni e per anni non farcela." D. è spigliato, ha studiato in Italia e in Australia, è intraprendente, sveglio, una risorsa umana preziosa. Mangia ragù e tortellini con gli amici italiani e si sente a disagio ad un pranzo tamil. Sono stupito e sbalordito, non me lo levo dalla testa, una frazione di colpa mi pesa sullo stomaco. Penso al dibattito in corso sulla cittadinanza agli immigrati. Ma di che parlano, con quale credibilità? In Italia come D. ce ne sono decine di migliaia.

Foto di un passaporto italiano del 1901 (PD), da wikipedia.org

venerdì 15 gennaio 2010

Un segmento perduto - Chiang Mai, Thailand

Un semaforo, come, qui, da quando? Non c'è un incrocio, è un passaggio pedonale. Freno un po' in ritardo, ma con esperienza: un ABS manuale, graduale, con tatto. Mi fermo senza problemi prima della striscia bianca. Osservo uno straniero che attraversa davanti a me. Sento un sorriso che mi flette le labbra mentre il sole del mattino mi frolla la pelle. Il proiettore si inceppa, la vita va in pausa, dopo un paio di secondi il film riprende, ma un segmento spazio-tempo è andato perduto. Il motorino è a terra, io sto ancora in piedi, le ginocchia piegate e i palmi sull'asfalto. Un ragazzino del posto mi ha tamponato. Mi alzo, guardo il thai, gli dico che era rosso, scherzi della psiche: ho parlato cinese. Il minuto che segue è da studio sociologico. Mentre sollevo il motorino il ragazzino sparisce, non è una sorpresa, non contavo su di lui. Lo straniero che attraversava ha visto tutto, ma dal momento che è all'estero non si è nemmeno fermato. Una ragazza coreana mi dà una salvietta. Arrivano due uomini, prelevano il motorino, se lo portano via dopo avermene dato un altro. Di solito ti chiedono una somma per i danni, ma ho noleggiato il mezzo alla reception dell'hotel e questa sembra essere una garanzia sufficiente. Mi spolvero i jeans, sistemo la camicia, pulisco con l'acqua le abrasioni sui palmi. Dovrei tornare in stanza e applicare il disinfettante. Ma me ne frego con calcolo, risalgo in sella, do un'occhiata alle montagne, accelero, volto pagina. Un cielo così ha bisogno di palme, e poi risaie, salite, templi, colori. E sto pensando ai tropici, alle tonalità, all'architettura, non certo al rosso del Mercurocromo.

Estate 2007

Foto di Ginger me (CC), da flickr

domenica 10 gennaio 2010

Bloccato al Dubai international airport - Dubai, EAU

Nove ore di attesa. E come le ammazzo? Trovo una presa, ci aggancio il laptop, attivo il wireless e catturo un segnale. Dopo alcuni minuti siamo già in due, schiena sul muro, posizione del loto, computer in equilibrio su cosce e tibie. Il nuovo arrivato è un biondo polacco, con lo sguardo stanco e gli abiti sgualciti. "Quanto devi aspettare?" "Uff...nove ore" rispondo con la fierezza di un ergastolano in cella. "Non ti preoccupare, le prime dodici volano..." "Le prime dodici! Ma da quanto sei qui?" "Eh beh, sono già tre giorni, ma spero di trovare un posto al più presto." Il polacco è arrivato con un volo dall'Europa, programmando una sosta di alcuni giorni, entusiasta all'idea di visitare Dubai. Alla dogana gli hanno detto che un visto di transito gli sarebbe costato quattrocento euro. Lui ha rinunciato e ha contattato le compagnie, ma i voli sono pieni ed è rimasto bloccato. Mangia al fast food, usa i bagni pubblici, dorme sulle panchine, nella terra di nessuno. Passeggia in un circuito come uno scoiattolo in gabbia, una gimcana con lo zaino tra transit desk e duty free, in un vortice di profumi, suonerie, altoparlanti. La luce artificiale che sbiadisce i colori. Ma il tipo è tosto, non si lascia andare, ha sviluppato le sue abitudini per passare le giornate: naviga in internet e incontra gente di passaggio a cui racconta la sua storia continuando a sorridere. Non sono sicuro che la prenderei come lui.

Autunno 2007  

Foto "Dubai International airport", di Fabio Pulito

sabato 9 gennaio 2010

Il cancello

Di che ti rammarichi? Che cosa mi invidi? Cerchiamo entrambi lo stesso futuro. Tu dall'interno, come stimolo a muoverti. Io sono già uscito e lo cerco qui fuori. Non ci separano stile, coraggio, follia. Tra me e te c'è soltanto un cancello, e tu lo puoi aprire quando ti pare.

Foto "The opened gate" di Steven Mitchell, da Art.com

Le buone storie sono fatte così

Ho un amico che abbina una pessima memoria a un fiuto da segugio per le buone storie. Ogni volta che lo vedo me ne racconta un paio, che estrae da un repertorio di una dozzina di titoli. Le riconosco dall'incipit, ma lo lascio continuare, poi all'ultima frase anticipo il finale. "Ah, te l'avevo già raccontata..." "Si, ma non mi sono stancato di ascoltarla."
Le buone storie sono fatte così, amanti esigenti, adolescenti civette. Amano chi le coccola e si prende cura di loro. La memoria non serve, e nemmeno la quantità: contano solo passione, talento e fedeltà.

Image "Fairy and water babies" di Warwick Goble, da Art.com

domenica 3 gennaio 2010

La sua borsa è aperta - Nuova Delhi, India

Devo cambiare il passaporto, quello vecchio è andato: finite le pagine, timbrate via in pochi anni, con dei tocchi asiatici di inchiostro rosso e blu, un'apertura sudamericana ed etichette australiane. Innanzitutto devo procurarmi le fototessere, il posto più vicino è Connaught place. "Non ascoltare nessuno quando cammini in quella zona, è pieno di truffatori e di rompiscatole." A Delhi su questo sono tutti d'accordo. Cammino sul marciapiedi, con passo sicuro, all'improvviso ho la sensazione che qualcuno mi segua. "Sir...Sir...mi scusi Sir...Sir...Sir...la sua borsa è aperta." Seguo il consiglio e faccio finta di niente. "Sir...aspetti, la sua borsa è aperta!" Sono sordo, un idiota, non parlo l'inglese, qualunque sia la scusa non gli rispondo. "Sir...SIIIRRR! LA SUA BORSA È APERTA!" Continuo a camminare, senza esitazioni. "SIR! SIR!" Nessuna reazione. "SIR! SIR! FUCK YOU MAN!" Finalmente si arrende e lentamente scompare. Arrivo al negozio e poggio la borsa...fuck you man, era aperta davvero! 

Primavera 2003 

Immagine "Boston terrier puppy inside a bag" di Fogstock Llc, da AllPosters.com