Nove ore di attesa. E come le ammazzo? Trovo una presa, ci aggancio il laptop, attivo il wireless e catturo un segnale. Dopo alcuni minuti siamo già in due, schiena sul muro, posizione del loto, computer in equilibrio su cosce e tibie. Il nuovo arrivato è un biondo polacco, con lo sguardo stanco e gli abiti sgualciti. "Quanto devi aspettare?" "Uff...nove ore" rispondo con la fierezza di un ergastolano in cella. "Non ti preoccupare, le prime dodici volano..." "Le prime dodici! Ma da quanto sei qui?" "Eh beh, sono già tre giorni, ma spero di trovare un posto al più presto." Il polacco è arrivato con un volo dall'Europa, programmando una sosta di alcuni giorni, entusiasta all'idea di visitare Dubai. Alla dogana gli hanno detto che un visto di transito gli sarebbe costato quattrocento euro. Lui ha rinunciato e ha contattato le compagnie, ma i voli sono pieni ed è rimasto bloccato. Mangia al fast food, usa i bagni pubblici, dorme sulle panchine, nella terra di nessuno. Passeggia in un circuito come uno scoiattolo in gabbia, una gimcana con lo zaino tra transit desk e duty free, in un vortice di profumi, suonerie, altoparlanti. La luce artificiale che sbiadisce i colori. Ma il tipo è tosto, non si lascia andare, ha sviluppato le sue abitudini per passare le giornate: naviga in internet e incontra gente di passaggio a cui racconta la sua storia continuando a sorridere. Non sono sicuro che la prenderei come lui.
Autunno 2007
Foto "Dubai International airport", di Fabio Pulito
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