Di sicuro però i rossi hanno trovato un serbatoio - probabilmente non insperato - di forze fresche nelle schiere di tassisti e moto-tassisti originari delle province dell'Isan, l'area poco sviluppata e culturalmente affine al Laos situata nel nord-est del paese. Le stesse da cui è arrivata la maggioranza dei manifestanti e le stesse in cui la serie di partiti creati direttamente o per interposta persona da Thaksin Shinawatra hanno raccolto voti a sacchi di riso. Con la differenza che i tassisti, lavorando in città, non hanno dovuto viaggiare per ore prima di arrivare nella capitale e non sono stati costretti ad accamparsi per più di una settimana nelle strade e nelle piazze del centro.
Mi è capitato spesso in questi giorni di stare a bordo di un taxi, con la radio che trasmetteva in diretta i comizi dei leader rossi e una bandierina che sventolava appesa all'antenna: ogni volta che la vettura incrociava un pick-up carico di manifestanti il tassista, di Ubon, Khon Kaeh o Khorat, dava un colpetto di clacson, salutava e se fermo al semaforo apriva il finestrino, scambiava qualche parola, scherzava, incoraggiava. Molti di loro si sono uniti alla parata del sabato o hanno continuato a lavorare indossando magliette rosse ed esponendo i vessilli del movimento.
La protesta continua, i manifestanti sono tornati al loro accampamento ma non accennano ad andarsene. Le scorte di papaia verde sembrano non essersi ancora esaurite. Thaksin li incita via satellite dal Montenegro. Il premier Abhisit apre ai dimostranti posto che il loro capo supremo - nonché finanziatore dell'impresa - non venga incluso nei negoziati. Improbabile, a meno di una clamorosa pugnalata alle spalle da parte dei suoi luogotenenti.
La città, curiosa, esasperata, divertita o arrabbiata, attende ora i prossimi sviluppi politici.
Foto Tuk Tuk a Bangkok, di Fabio
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