domenica 30 gennaio 2011

La scusa

Ogni malesiano sa parlare il malese, la lingua nazionale, avendolo imparato a scuola. Una buona fetta della popolazione conosce anche l'inglese, senza necessariamente aver visitato un paese anglofono. Molti si esprimono in maniera impeccabile, altri magari fanno qualche errore di grammatica e ortografia ma comunicano comunque in maniera scorrevole e hanno buone capacità di comprensione. Inoltre a seconda del gruppo etnico a cui appartengono tanti conoscono il mandarino, il cantonese o l'hokkien senza aver mai viaggiato in Cina, l'hindi, l'urdu, il tamil e il malayalam, senza magari aver mai messo piede in India. A Malacca c'è persino una comunità i cui membri parlano il portoghese, senza ovviamente essere mai sbarcati in Portogallo o in una qualche sua ex-colonia.
Gli italiani invece in genere parlano l'italiano e...basta. Magari pure maluccio. Chi ha imparato qualche lingua straniera l'ha fatto andando all'estero, con il programma Erasmus oppure lavorando in qualche ristorante di Londra, New York o Sydney, su iniziativa personale e a proprie spese. Le ore di inglese a scuola sono servite a ben poco.
Di certo non si può paragonare l'Italia a paesi come la Malesia, dalla storia e composizione sociale completamente differente. Forse però qualcosa in più lo si poteva - e si potrebbe ancora - fare. Ai tempi in cui abitavo in Cina ne avevo già parlato qui.
Una delle scuse campate più spesso per mantenere lo status quo è quella della difesa della lingua nazionale. Difesa...da quale pericolo poi? Dalla scarsa qualità del linguaggio spiattellato da gran parte dei programmi TV? O contro l'impoverimento del vocabolario utilizzato quotidianamente in casa, al lavoro e a scuola? Dall'abitudine dilagante dell'utilizzo della grafia contratta da SMS - anche quando non si scrivono messaggi al telefono - con la scomparsa improvvisa e prematura delle vocali e del maiuscolo? Proprio per niente, ciò da cui ha bisogno di essere difesa la nostra lingua è la fantomatica ma potenzialmente letale invasione dell'inglese.
Un falso orgoglio che i comuni cittadini sbandierano per camuffare l'imbarazzo causato dall'ignoranza e la pigrizia che li assale al solo pensiero di mettersi a imparare una nuova lingua. Orgoglio a cui invece chi ci governa ricorre per nascondere la carenza di talento, creatività, intraprendenza e idee, e soprattutto per poter continuare a dedicarsi al proprio passatempo preferito - la lotta per il potere e l'accumulo di denaro e privilegi - senza ulteriori inutili seccature. 
E se i film sono tutti doppiati e Robert De Niro continua a parlare italiano, magari con la stessa voce di Al Pacino, chi se ne frega. Non sarà una soluzione ottimale, non saremo in grado di goderci appieno la performance dell'artista, ma almeno riusciremo a seguire la trama. E quei fanatici che fossero interessati alla versione in lingua originale possono sempre guardarselo in DVD. O altrimenti provare a leggere il labiale...

martedì 25 gennaio 2011

Il gesto - Kuala Lumpur, Malesia

C’è un gesto che facciamo noi italiani, con le dita della mano puntate verso l’alto, i polpastrelli congiunti. Può significare varie cose: dubbio, confusione, incredulità, disaccordo, alle volte persino dileggio. Ho scoperto casualmente che è utilizzato anche nel mondo arabo, ma con un significato completamente diverso.
La prima volta che lo notai ero a Kuala Lumpur, seduto a un ristorante libanese, con alcuni miei studenti sauditi. Mentre il cameriere egiziano serviva le portate due dei commensali gli chiesero qualcosa, quasi contemporaneamente. Lui li osservò mentre continuava a disporre i piatti sul tavolo e poi, senza dire nulla, appena ebbe finalmente una mano libera si rivolse a ognuno di loro con quel gesto. Io fui sorpreso, mi sembrava molto sfrontato utilizzare con dei clienti un segno che interpretavo come una specie di “Ma che diavolo volete?” Lo feci notare ai miei studenti i quali mi spiegarono che in Medio Oriente equivale a un innocuo "attenda un attimo", ed è un’espressione sufficientemente educata.
Pochi giorni fa, sempre a Kuala Lumpur, stavo fermo a un marciapiedi, osservando il brulicare della gente attorno ai locali notturni del centro. Una vecchina cinese passava di là chiedendo l’elemosina con una tazza. Un arabo la fermò, le piantò la mano a dita raccolte davanti al naso e poi si rivolse a un amico chiedendogli del contante, infine tornò dalla signora e gli infilò nella tazza una mancia spropositata. Evidentemente le voleva dire “Attendi un attimo vecchiarella, non te ne pentirai” e non come avrebbero pensato in Italia “Oh vecchiaccia, ma che cavolo fai? E levati di torno!”

venerdì 21 gennaio 2011

Il vecchio saggio - Bangkok, Thailandia

Mercato di Kashgar, Xinjiang, Cina, di Fabio
Sono seduto a un ristorante all'aperto con una ragazza giapponese di nome Ako (il nome in realtà dopo tanti anni l'ho dimenticato e questo me lo sono inventato. Pensandoci bene però potrei anche averci azzeccato). Ako sta seduta davanti a me e quando ci stiamo gustando il primo bicchiere di birra nota un topo vicino al ciglio della strada, proprio dietro la mia sedia. Il povero animale sta fermo sul posto, respirando profondamente e con affanno: probabilmente è malato, o ferito, quasi certamente agonizzante.
Ako è piuttosto schifata e mi invita a sedermi accanto a lei, un consiglio che sono molto felice di accettare, a prescindere dalla inopportuna presenza del topo.
Dopo averci osservato per un po' uno di quegli occidentali dalla saggezza autoreferenziale che emana direttamente da giorni e giorni di duro viaggio tra aeroporti, taxi e spiagge tropicali, dall'aria da alternativo posticcio che si scrollerà di dosso non appena tornato a casa, prima di imbarcarsi in una vita vissuta sul filo del rasoio che piloterà dall'abitacolo di una scrivania d'ufficio, ma soprattutto da quello sguardo sicuro, proprio di chi ha visto cose che noi non possiamo nemmeno immaginare, persino più del replicante Rutger Hauer in Blade Runner, decide che abbiamo bisogno di aiuto e si risolve ad elargirci uno dei suoi preziosi consigli.
"Non vi preoccupate, non dovreste avere paura di quel topo, tanto sta per morire..."
Ako e io ci guardiamo con la coda dell'occhio. Una volta vinta l'iniziale valanga di imbarazzo tratteniamo una risata tsunamica con un logorante lavorio di muscoli facciali, imprigionandola tra naso, palpebre e fronte. Tanto sta per morire? Ueh, vecchio saggio, proprio per quello mi sono spostato! Non era mica un cobra o una tigre, soltanto un sorcio di fogna. Stavamo cenando: non ci faceva paura, solo pena e un po' di ribrezzo.

Bangkok, Thailandia, dicembre 2001

P.S. Un altro turista occidentale che ne sparò una grossa a Bangkok è questo qui

giovedì 20 gennaio 2011

Quasi peggio di lui

Dopo aver letto questo editoriale del Corriere della Sera (sulle telefonate intercettate nell'ambito del caso Ruby) ed essere riuscito a controllare i conati di vomito ho provato a formulare la frase che meglio sintetizzasse l'intrigo. Eccovi i miei primi tentativi:

1. Un grande farabutto e tante piccole merde

2. Sopra una grande merda ronza un nugolo di moscerini

3. Sordido pulviscolo orbita attorno al Re Sole

4. Chi di avidità ferisce di avidità perisce

5. Chi troppo vuole questa feccia stringe

6. Repellenti avvoltoi spiluccano un corpo putrescente

7. Osservate questo tipico fenomeno di "elettro-maialismo": un maiale generoso attrae degli avidi suini

martedì 18 gennaio 2011

Confusione mistica

Niente templi oggi: per qualche dollaro un ragazzo del posto mi porta a visitare in moto le campagne della zona. Mi parla delle coltivazioni, dei Khmer rossi, del fiume, degli abitanti dei villaggi. Mi spiega che per la maggior parte sono buddhisti ma c'è anche una discreta minoranza di musulmani buddhisti. Sorrido e non dico nulla. Ripete quella buffa espressione varie volte. Alcuni minuti dopo, quando mi racconta che anche molti degli abitanti del villaggio attraverso il quale stiamo scorrazzando sono musulmani buddhisti, decido di provare qualcosa.
"Così mi stai dicendo che la comunità musulmana qui è piuttosto folta..."
"Sì, molto numerosa, molti musulmani buddhisti in questo villaggio!"
Va beh, non ha abboccato. 
Pochi minuti più tardi ci provo con un altro test.
"Ma nelle città più importanti, come Phnom Penh per esempio, ci devono essere anche parecchi cristiani..."
Vediamo ora cos'ha da dire.
"Sì, è vero, molti cristiani buddhisti a Phnom Penh"
Pure i cristiani buddhisti...va bene amico mio, mi arrendo. Vorrà dire che mi convertirò al laicismo buddhista...

Siem Reap, Cambogia, estate 2004

martedì 11 gennaio 2011

Puntano sul verde - Kuala Lumpur, Malesia

Su un cartello in un bagno pubblico presso le Torri Petronas c'è scritto: "Puntiamo sul verde: unisciti a noi e risparmia la carta, per favore utilizza l'asciugatore per mani (elettrico)"
Puntano sul verde? Ma come credono che venga prodotta l'elettricità...triturando con pestello e mortaio un intingolo di petali di rose e gocce di rugiada?
Il messaggio sembra essere: "Prendi due piccioni con una fava: salva un albero e contribuisci a inquinare la nostra aria!"
A dir poco ambiguo...

Foto ripresa da Italians-Corriere della Sera

venerdì 7 gennaio 2011

E se fossi stato... - Terengganu, Malesia

Foto di CW Ye (CC)
La mattinata è serena, come il sorriso che mi ha dipinto sul volto il paesaggio rigoglioso che si gonfia al di là dei finestrini dell'autobus. Il viaggio è stato lungo ma fra poco mi aspetta l'ultimo tratto, il più scomodo e suggestivo, a bordo della bagnarola che taglierà un settore del golfo fino alle isole Perhentian. Gli ultimi chilometri di strada nel Terengganu - Malesia nord orientale - sono asfaltati con il sapore dell'attesa di una premiazione, non con la fatica della gara corsa per arrivarci.
Un signore del posto vestito come tutti gli altri - gonnellone, camicione e copricapo - ma più sfacciato o arrabbiato di loro mi si avvicina.
"Di dove sei?"
"Italia!" Rispondo con un entusiasmo che non è tanto orgoglio per la terra di provenienza quanto un'esortazione del tipo Vogliamoci bene!
Funziona, ma solo in parte.
"Ah, Italia...bene. Se invece era America...non bene!"
Alcuni lo guardano storto, altri annuiscono. A me invece vengono i brividi. Puntello il sorrisone richiamando i riservisti: una truppa di muscoli facciali che non sapevo nemmeno di avere. La serenità del mattino è andata a farsi friggere, così come il paesaggio rigoglioso sembra essere stato nascosto da una foschia sopraggiunta di soppiatto. Gli ultimi minuti del viaggio sembrano più lunghi della notte quasi insonne trascorsa in cuccetta.
La stessa domanda continua a ronzarmi nella testa: "E se fossi stato americano?" Allo scopo di scacciarla cerco di concentrarmi su una preoccupazione di riserva: spero almeno che il tragitto in barca non mi faccia venire il mal di mare.

Terengganu, Malesia, primavera 2002

martedì 4 gennaio 2011

Una tendenza obliqua

Foto di I am marlon (CC)
Non sono un attaccabrighe di natura, un aggressivo, uno di quelli a cui si irrigidisce il corpo e va in blackout la mente alla minima provocazione. Una delle doti su cui ho sempre creduto di poter contare è quella di sapermi scrollare di dosso potenziali grattacapi con un'alzata di spalle e un commento ironico mormorato a labbra chiuse. A mente fredda mi sono chiesto a volte se questo comportamento possa essere un segnale di vigliaccheria. E non mi ha aiutato a spazzare via i dubbi la consapevolezza che in altre situazioni, davanti al pericolo o a decisioni difficili, sono sicuro di essermi comportato con coraggio. O almeno con incoscienza, che se non è coraggio può esserne un utile surrogato. 
Una recente conversazione con un amico mi ha però ricordato di un periodo della mia vita in cui tensioni latenti, stress accumulato e una leggera insofferenza sgorgavano oltre il livello del cosciente sotto forma di scatti d'ira fino allora sconosciuti. Si sa poi che una birra di troppo bevuta il sabato sera amplifica stati d'animo che covano nel fondo della nostra anima, facendo salire in superficie ciò che normalmente teniamo - almeno parzialmente - imbrigliato. E così l'esuberanza, il senso dell'umorismo, la voglia di divertirsi e l'estroversione, in quel periodo vennero sostituiti da un lato oscuro di me che avevo sempre ignorato. Tra l'altro l'ebbrezza era soltanto un'aggravante, non la causa di questa tendenza obliqua. Poteva succedere anche in pieno giorno, durante la settimana, quando ero completamente sobrio. Sembravo aver perso - almeno in parte - la capacità di fregarmene se qualcuno mi trattava come un soprammobile, urtandomi e continuando per la propria strada con aria arrogante. O se un bullo mi provocava con una battuta tagliente, o ancora se uno screanzato mi rispondeva in malo modo senza alcuna ragione.
Fortunatamente quel periodo è andato e non è mai più tornato. Alla fine si è trattato soltanto di un anno anomalo. Sono di nuovo quello di prima, anzi grazie a una nuova scoperta ho acquisito un atteggiamento diverso nei confronti della mia stessa personalità: i sospetti di codardia che mi sfioravano quando il mio orgoglio non veniva infiammato da attacchi gratuiti alla fine non sono nulla in confronto alla certezza di essermi comportato come un idiota quando invece ho reagito. 
Non è fondamentale, non è neppure molto, ma per chi si sa accontentare è pur sempre un passo avanti.