Sentiamo qualcuno dire: "quel tizio vive sotto un ponte". E pensiamo subito a una scatola di cartone, al cui interno sta accovacciato un corpo peloso, dalla pelle scura, rugosa e indurita da sudore e intemperie, avvolto in un cappotto sporco, sgualcito e rappezzato, con i piedi infilati in due scarponi diversi e la testa riparata da un berretto di lana infeltrito e una sciarpa sfilacciata e incrostata di saliva seccata. Attorno stanno sparpagliati dei fagotti di stracci, dei barattoli pieni a metà di cibo stantio, pagine di giornale, tre posate unte, una tazza di metallo arrugginita, magari una bottiglia di liquore scadente. Completano la foto mentale l'immancabile puzza di piscio, escrementi d'uomo e d'altri animali, siringhe, salviette e preservativi usati. Insomma, pensiamo subito a una vita da barbone. Come molti di noi sanno però, questo mondo bizzarro è spesso capace di capovolgere persino le opinioni più diffuse.
Nel tragitto che mi porta nel cuore del business district di Bangkok - quello coi grattacieli moderni, la ferrovia elevata dello skytrain e i centri commerciali - a un certo punto devo scendere da una specie di vaporetto siamese che naviga i sordidi canali cittadini (ne parlerò in un altro post), passare sotto una larga strada e sbucare sul marciapiedi al lato opposto della via. Proprio sotto Saphan Hua Chang (Ponte della testa di elefante), alla mia destra, conficcata tra suolo e carreggiata come un cuneo che frena un pneumatico, c'è una casetta. Una trentina di metri quadrati sottratti all'architettura urbana e da essa utilizzati in cambio come colonna di sostegno.
La struttura di cemento è dotata di porte e finestre, come qualsiasi altra abitazione, ed è circondata da un recinto che segna i confini di un cortile. Qui stanno sparpagliate alcune sedie di plastica, un tamburo per cavi che funge da tavolino, moto e biciclette, bidoni della spazzatura, panni stesi ad asciugare e le solite cianfrusaglie che si nascondono nel retro di una casa.
La struttura di cemento è dotata di porte e finestre, come qualsiasi altra abitazione, ed è circondata da un recinto che segna i confini di un cortile. Qui stanno sparpagliate alcune sedie di plastica, un tamburo per cavi che funge da tavolino, moto e biciclette, bidoni della spazzatura, panni stesi ad asciugare e le solite cianfrusaglie che si nascondono nel retro di una casa.
All'interno del locale illuminato da una squallida luce al neon una famigliola si gode la brezza fresca di un ventilatore davanti a un televisore che trasmette un incontro di muay thai.
Chi vive lì sotto? Un addetto alla manutenzione stradale? Il responsabile del molo del vaporetto? Una famiglia ammanicata con qualche amministratore locale? Oppure da queste parti è normale? Sinceramente non ne ho idea, ma per non dimenticare che le espressioni "vivere sotto un ponte" ed "essere un senza tetto" non si riferiscono necessariamente alla stessa condizione esistenziale ho scattato qualche foto che pubblico qui.La casa sotto il ponte |
Il cortile della casa |
Il retro della casa |
Un altro scorcio della struttura |
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