Dopo aver letto i seguenti paragrafi de Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, di Robert M. Pirsig, ho avuto una sorta di illuminazione:
[...]Il termine logos, radice della parola «logica» , si riferisce a tutto ciò che
costituisce la nostra comprensione razionale del mondo. Il mythos è l'insieme dei miti antichi, storici e preistorici, che hanno preceduto il logos. Il mythos non include solo i miti greci ma anche l'Antico Testamento, gli Inni Vedici e le antiche leggende di tutte le culture che hanno contribuito alla formazione della nostra attuale visione del mondo. La contrapposizione tra mythos e logos afferma che la nostra razionalità prende forma da queste leggende, che la nostra conoscenza attuale ha con esse lo stesso rapporto che un albero ha con il virgulto che fu un tempo.[...]Si può notare che nella cultura giudeo-cristiana, in cui la «Parola» dell'Antico Testamento era intrinsecamente sacra, gli uomini sono pronti a sacrificarsi, a vivere e a morire per le parole. In questa cultura, un tribunale può chiedere a un testimone di dire «la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità, con l'aiuto di Dio» , e aspettarsi che la verità venga detta. Ma se si trasporta il tribunale in India, come fecero gli inglesi, lo spergiuro è all'ordine del giorno, perché il mythos indiano è diverso e il carattere sacrale delle parole non è sentito nello stesso modo.
All'improvviso tante cose diventavano chiare. Potevo finalmente trovare una spiegazione per alcune delle più sconcertanti differenze culturali tra l'occidente e l'oriente (in particolare lì dove il mythos è principalmente di origine induista, buddhista e taoista). Per quegli aspetti la cui esistenza conoscevo da un pezzo ma di cui non avevo ancora saputo trovare una radice. Noi - mi riferisco agli occidentali - diamo una grande importanza alle nostre parole, le nostre promesse, la verità. Anche per gli asiatici queste cose sono importanti, ovviamente, ma lo sono in un modo diverso. E probabilmente danno ancor più importanza ad altri valori. Altrimenti, come potremmo spiegarci il tabù della parola no(*), o tutti quei comportamenti apparentemente incoerenti che gli asiatici riescono ad adottare con estrema naturalezza pur di assicurarsi che nessuno sia costretto a perdere la faccia(*)?