Viaggiando capita spesso che la curiosità prenda il sopravvento sulla cautela. Ecco allora che ci mettiamo a provare, osare, sperimentare. Magari rischiamo e ci cacciamo pure nei guai. Forse è proprio l'adrenalina che il guaio sintetizza il fattore X che rincorriamo. Altre volte invece, un po' stanchi delle sorprese dopo le prime settimane di avventura (mai annoiati però), cominciamo a scandagliare i luoghi alieni a caccia di angoli più familiari, dove le complicazioni della vita da straniero vengono temporaneamente risolte. Lassi di tempo semplificati. Un po' finti insomma, ma sufficientemente realistici.
Quando si tratta di cibo io sono piuttosto intrepido ma ogni tanto, soprattutto se ho una cucina a disposizione e non sono costretto a servirmi dei ristoranti italiani all'estero, mi piace rinfrescare la memoria dei sapori familiari, talmente familiari in effetti da essersi quasi incollati ai cromosomi. Una versione gourmet del richiamo della foresta insomma.
Col tempo ho imparato però che esiste anche una via di mezzo. Alla fine ce n'è sempre una, no? Ad esempio cercare nella cucina straniera similitudini con la nostra. Delle affinità alimentari che plachino la nostalgia del palato alimentando al contempo il sempre vivo spirito esploratore.
Alcuni anni fa per esempio mentre mi trovavo in Thailandia venne a trovarmi F, un amico abituato a sbafarsi una terrina da 400-500 grammi di spaghetti per cena. Le porzioncine di riso su cui adagiare cucchiaiate o bacchettate di pietanze prelevate da piatti distribuiti sul tavolo e da spartire tra i commensali non lo entusiasmavano. Aveva quindi trovato il suo equilibrio tra abitudini di madrepatria e specialità locali nel phat thai, un piatto di tagliolini saltati nello wok con verdure, carne o gamberi e salsa di soia, conditi alla fine con una spolverata di arachidi macinate. Amava accomodarsi presso uno dei tipici ristorantini da marciapiede e ordinarne a ripetizione, provocando la reazione divertita dei thailandesi che al secondo piatto stabuzzavano gli occhi e dal terzo in poi lo servivano con urletti e risatine sempre più eccitate. "One more!" "hahaha" "Another one!" "hihihi"
Alcuni anni fa per esempio mentre mi trovavo in Thailandia venne a trovarmi F, un amico abituato a sbafarsi una terrina da 400-500 grammi di spaghetti per cena. Le porzioncine di riso su cui adagiare cucchiaiate o bacchettate di pietanze prelevate da piatti distribuiti sul tavolo e da spartire tra i commensali non lo entusiasmavano. Aveva quindi trovato il suo equilibrio tra abitudini di madrepatria e specialità locali nel phat thai, un piatto di tagliolini saltati nello wok con verdure, carne o gamberi e salsa di soia, conditi alla fine con una spolverata di arachidi macinate. Amava accomodarsi presso uno dei tipici ristorantini da marciapiede e ordinarne a ripetizione, provocando la reazione divertita dei thailandesi che al secondo piatto stabuzzavano gli occhi e dal terzo in poi lo servivano con urletti e risatine sempre più eccitate. "One more!" "hahaha" "Another one!" "hihihi"
Tornando ai paralleli culinari l'esperienza mi ha insegnato che cugini della pizza se ne trovano un po' ovunque, e spesso si tratta di scoperte deliziose. Per quanto riguarda la pasta invece, per ovvi motivi di provenienza, l'Asia è la scommessa più sicura. Dalla Cina all'Indonesia, dalla Corea al Laos, spaghetti, maltagliati, capelli d'angelo e ravioli sono quasi sempre a portata di mano. Niente grano duro magari, ma farina di altre granaglie, riso, soia e versioni orientali della pasta all'uovo si rivelano dei sostituti validissimi.
Ognuno di noi però, oltre alle specialità di carattere nazionale, ha spesso anche un piatto regionale preferito. Io, essendo veneto, scelgo i bigoli. Il bigolo è una specie di spaghetto estremamente grosso (quasi mezzo centimetro di diametro), dalla consistenza particolare e la superficie ruvida, caratteristiche dovute all'utilizzo del grano tenero (a volte anche delle uova) e alla speciale "trafilatura" al torchio di bronzo (bigolaro - nella foto), che nella versione fatta in casa viene azionato a mano. Un tipo di pasta che in fase di masticazione mi trasmette una sensazione inconfondibile, semi-orgasmica, da assuefazione: provo quasi più piacere quando vi affondo i denti per la prima volta che assaporando il resto della pietanza stessa. Qualcosa di simile mi succede quando addento le orecchiette pugliesi, specialmente se ne trovo due appiccicate una all'altra.
E quindi ogni qual volta mi imbatto in un noodle asiatico di dimensioni e struttura simili mi ci fiondo, inforco con approccio scientifico, annuso come un cucciolo, tocco lievemente con labbra e lingua per registrarne la caratteristiche fisiche di superficie, quindi mastico, cautamente e lentamente all'inizio, poi sempre più audacemente, con violenza di macina, classificando, spuntando le caselle in una lista mentale di proprietà, sistemando le categorie, confrontando col lontano parente euganeo, berico o scaligero alla ricerca di similitudini e differenze.
E quindi ogni qual volta mi imbatto in un noodle asiatico di dimensioni e struttura simili mi ci fiondo, inforco con approccio scientifico, annuso come un cucciolo, tocco lievemente con labbra e lingua per registrarne la caratteristiche fisiche di superficie, quindi mastico, cautamente e lentamente all'inizio, poi sempre più audacemente, con violenza di macina, classificando, spuntando le caselle in una lista mentale di proprietà, sistemando le categorie, confrontando col lontano parente euganeo, berico o scaligero alla ricerca di similitudini e differenze.
Ed ecco quindi l'elenco dei miei simil-bigoli preferiti, compilato in una decina d'anni di viaggi in oriente. Purtroppo non è molto lungo ma stiamo parlando, dopotutto, di un prodotto di nicchia:
- Udon (Giappone): farina di grano, colore bianco opaco, ruvidità medio-alta. Serviti in brodo, asciutti (caldi o freddi) con salse a parte in cui vanno immersi prima di infilarseli in bocca, o anche saltati con verdure e carne.
- Mi xian (Yunnan, Cina): farina di riso non glutinoso, colore bianco ghiaccio, ruvidità bassa. Serviti in brodo o asciutti con un sughetto piuttosto piccante che vi viene versato sopra come si fa per la nostra pasta.
- Hokkien mee, la versione char di Kuala Lumpur (Malesia): farina di grano, colore giallo, ruvidità media. Saltati (o meglio ancora cotti su fuoco a carbone - da cui il nome char, abbreviazione di charcoal, ovvero carbone) seguendo una ricetta ricca e originale che prevede l'utilizzo di gamberetti, calamari, fish cake, carne e fegato di maiale, cubetti di grasso di maiale fritti fino a diventare croccanti, verdura e una salsa a base di soia molto densa e scura. Salsina piccante servita a parte.
Se ne avete trovati altri, fatemelo sapere.
Foto di Babo Style (CC)
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