Mio fratello vive a Zurigo da anni, il tedesco però non lo ha mai imparato bene. Sa dire qualcosa, fare qualche domanda, abbozzi di conversazioni, poco di più. I motivi sono molti: viaggia spesso all'estero e coi colleghi, anche in Svizzera, usa l'inglese. In Svizzera poi non si parla il tedesco "ufficiale" ma una specie di dialetto "montanaro", non facilmente comprensibile. C'è però anche un'altra ragione per cui non ha mai approfondito la conoscenza della lingua locale, ed è molto più sorprendente: dovunque vada, al ristorante, in un negozio, in un ufficio pubblico o per la strada, la probabilità di incontrare qualcuno che parli italiano è molto elevata. E non stiamo parlando dei ticinesi, gli abitanti del cantone di lingua italiana, svizzeri al 100% da generazioni, orgogliosissimi delle loro origini e a cui in alcuni casi gli italiani non stanno nemmeno troppo simpatici. Qui si tratta di veri e propri abitanti di Zurigo, gente della Svizzera tedesca. Bisogna ricordare che i grandi flussi migratori dall'Italia alla Svizzera risalgono al periodo 1945-75, principalmente dal nord fino al '60 e dal centro-sud nel periodo successivo. Chi a Zurigo oggi vi parla in italiano è quindi il figlio o il nipote di un immigrato, o spesso persino qualcuno nelle cui vene non scorre nemmeno una goccia di sangue italiano, gente che la nostra lingua l'ha imparata a scuola, con gli amici, in vacanza o per passione.
Quando mio fratello mi raccontava queste cose io non mi rendevo conto dell'entità del fenomeno. Mi è capitato molte volte di incontrare dei discendenti di siciliani, marchigiani o veneti nati in Argentina, Brasile, Stati Uniti o Australia. Hanno il cognome italiano, magari persino il passaporto, ma di italiano sanno dire al massimo dieci parole. Non appena arrivato in Svizzera mi sono accorto che in quel paese la situazione è radicalmente diversa.
C'è la sagra annuale nel bel borgo in altura in cui vive mio fratello. In un ristorantino in cui friggono il pesce che allevano in grandi vasconi nel retro mio fratello si frigge il cervello per piazzare le nostre ordinazioni in tedesco, cercando di addomesticare quel groviglio complesso di grammatica, vocabolario, pronuncia, espressioni particolari. In maniera un po' rispettosa e un po' sadica la signora non lo interrompe e lascia che si auto-torturi per alcuni minuti. Poi, quando lui ha finito, in un italiano corretto, leggermente abraso da una marcata pronuncia teutonica, riassume le ordinazioni e, utilizzando un vocabolario accurato e forbito, aggiunge pure qualche consiglio della casa. Mio fratello è sconsolato, la ringrazia ma vorrebbe dirle: "e perché non l'hai fatto prima? Evitandomi di fare quella figura barbina..." Bisogna notare che la signora in questione non è nemmeno di famiglia italiana.
La scena si ripeterà spessissimo. Al banco delle birre della stessa sagra una signora che lavora all'aeroporto di Zurigo ci insegna a ordinare in tedesco e poi chiacchiera con noi in italiano per più di un'ora. Anche lei non è discendente di italiani: imparò i rudimenti della lingua a scuola e la perfezionò andando in vacanza in Liguria.
In un negozio di articoli di elettronica il ragazzo che ci serve ci spiega tutto in un inglese discreto. Quando passiamo all'italiano per discutere fra di noi lui ci interrompe gentilmente e ci fa sapere che preferisce continuare la transazione nella nostra lingua, a lui più familiare dell'inglese. A differenza dei due casi precedenti questo almeno aveva i tratti somatici del calabro-svizzero.
Il siparietto più bizzarro ha luogo però appena oltre il confine con la Germania, nei pressi del lago di Costanza. Entriamo in un negozio per comprare dei cuscini. Una signora ci sente parlare e si rivolge a noi in un italiano perfetto, anche nella pronuncia. Prima di andarcene le chiedo dove lo ha imparato. Mi risponde che la sua famiglia proviene da Pola, città principale dell'Istria, attualmente in Croazia ma fino alla fine del settecento parte del territorio della Serenissima Repubblica di Venezia. La signora ci tiene infatti a specificare che conosce anche il dialetto degli italiani di lì, simile al triestino. Quindi, a un tratto, il colpo di scena. Entra un cliente del posto che comincia a parlarle in tedesco. Poi sente che lei ci saluta in italiano e tutto felice passa anche lui alla stessa lingua. Mentre esco li sento che discutono di materassi, lei con un leggero accento veneto e lui con un'intonazione vagamente meridionale. Sembra di stare a Roma, invece siamo al confine tra Germania e Svizzera...quella tedesca, ovviamente.
Foto Monumento caduti per la costruzione del Gottardo di Markus Schweiß (CC)
Qui non troverete le pagine di un diario di viaggio, né elogi a luoghi fantastici o cronache di memorabili incontri. Questa è una raccolta di storie, pensieri, immagini. Ma soprattutto di stranezze, che per altri magari sono normalità. Perché per osservarle, queste bizzarrie, sono necessari filtri speciali: stramberia, cinismo, pignoleria, testardaggine, isolamento, impudenza, curiosaggine, nerdismo. Difetti che modestamente, in varia misura, questo individuo seminomade possiede un po' tutti.
4 commenti:
GRANDE FABIO E viva l'Italiano ... (o meglio la lingua italiana)
Grazie Paolo!
In effetti per un paio di giorni mi sembrava di essere tornato nel '500-'600, nell'Europa dei romanzi dei Wu Ming, quando vi si girava parlando l'italiano...
Ha,ha.....Anche qui a Colonia ci sono italiani ovunque ( ecco io per esempio, ottimo stile italiano).
Errore che ho fatto dall´inizio é stato quello di parlare in inglese. Capisco e leggo in tedesco ma parlarne...E sai una cosa??? Capiscono subito che sono veneta.
Acci..e pensare che a casa mia non si parlava il dialetto perché mio padre siciliano, mia madre veneta.
Trovo libri ovunque dei nostri migliori contemporanei in tedesco..peccato che per il resto l´Italia vada a rotoli. Scusa non trovo il senso di questo commento. É colpa dell´influenza che sta uccidendo gli ultimi brandelli della mia materia grigia. CiaoU
IDuran 63: anch'io ho perso l'occasione di imparare bene le lingue di alcuni dei paesi in cui ho vissuto proprio per quel pizzico di pigrizia che mi spingeva a rifugiarmi nell'inglese alla prima difficoltà o accenno di imbarazzo...
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