Il nome è fuorviante: Soi country club. Soi in thailandese significa vicolo, ma questa è una strada, lunga e battuta, che scorre tra negozi, ristoranti, villaggi, un golf e un polo club, un maneggio, lo stadio del Pattaya Utd e un lago - il Mabprachan - meta per scampagnate pomeridiane, ma anche notturne. Proprio così, notturne. Lungo la riva meridionale ci sono infatti file di bar con donnine che se approcciate non oppongono certo una resistenza da fortezza medievale assediata, e poi birra, musica, biliardi, persino i ladyboy, proprio come nelle zone a luci rosse del centro. Appunto, ma chi ci viene fino a qui, dal centro? Chi si fa dieci chilometri per godersi una versione scadente e limitata di ciò che può trovare anche a cento metri da casa? La risposta la sa chi vive qui da anni: sono quegli uomini, fidanzati o sposati, che hanno bisogno di un luogo sicuro dove abbandonarsi senza paranoie ai piaceri dell'adulterio. L'area infatti offre anche motel a ore e centri sauna/massaggi dove le mani - e magari qualcos'altro - di altre donnine compiacenti si concentrano su ogni parte del corpo dei loro clienti.
Altri due chilometri e il ronzio della moto viene parzialmente attutito dagli schiamazzi dei bimbi di una scuola. Qui il mezzo non è il solo a rallentare: anche il progresso scala e avanza a marce ridotte. Non è una questione di tecnologia o di mode, bensì di dettagli e atmosfera: la polvere argillosa, le ciabatte, i tetti di ondulato, i pali sbiechi ricavati dal bambù, il conflitto fra quelle catapecchie e la vegetazione circostante che sembrerebbe quasi essere ancora in bilico. C'è aria di Cambogia, di Laos, forse addirittura di Birmania, proprio qui, nel vecchio Siam!
Poi un camion sbuffa fumo nero e alza un polverone. Tempo di riprendersi ed è già un torrente in piena di moto, auto, semafori, con vortici di clacson, fischietti e calcestruzzo, che sfocia schiumoso nel bacino a sei corsie di Sukhumvit, con i suoi megamall, gli ipermercati, gli svincoli, gli incroci, le aree di servizio.
E’ di nuovo l'inizio...è già la fine.
Altri due chilometri e il ronzio della moto viene parzialmente attutito dagli schiamazzi dei bimbi di una scuola. Qui il mezzo non è il solo a rallentare: anche il progresso scala e avanza a marce ridotte. Non è una questione di tecnologia o di mode, bensì di dettagli e atmosfera: la polvere argillosa, le ciabatte, i tetti di ondulato, i pali sbiechi ricavati dal bambù, il conflitto fra quelle catapecchie e la vegetazione circostante che sembrerebbe quasi essere ancora in bilico. C'è aria di Cambogia, di Laos, forse addirittura di Birmania, proprio qui, nel vecchio Siam!
Poi un camion sbuffa fumo nero e alza un polverone. Tempo di riprendersi ed è già un torrente in piena di moto, auto, semafori, con vortici di clacson, fischietti e calcestruzzo, che sfocia schiumoso nel bacino a sei corsie di Sukhumvit, con i suoi megamall, gli ipermercati, gli svincoli, gli incroci, le aree di servizio.
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